Maria
Maria
Durata
124
Formato
Regista
Parigi, 1977. Maria Callas (Angelina Jolie), la più grande cantante lirica di ogni tempo, vive in una grande casa insieme a un maggiordomo (Pierfrancesco Favino) e a una domestica (Alba Rohrwacher). Il suo passato le scorre davanti agli occhi e pensa di scrivere un’autobiografia, ma la fine, lei lo sa, sta ormai per arrivare…
Dopo Jackie (2016) e Spencer (2021), Pablo Larraín firma una terza (anti)biografia di un’altra icona femminile del ventesimo secolo, mescolando spunti e ossessioni già presenti in quei due lungometraggi precedenti, incentrati su traumi e su fantasmi impossibili da scacciare, esattamente come succede in Maria. Si apre con una lunga e bellissima inquadratura su una porta aperta («così la musica può sempre entrare», dirà la Callas a sua sorella) che lascia presagire la presenza di un cadavere in mezzo al corridoio: si apre con la morte questo lungometraggio che si concentra sugli ultimi, tormentati giorni di vita della cantante, vittima di dipendenza da farmaci, che la portano ad avere visioni e allucinazioni, dei quali, però, non vuole fare a meno. Attraverso una scelta metanarrativa che può far ripensare anche a un altro grande film come Neruda (2016), Larraín ci mostra un’artista che crea personaggi attorno a sé, tra chi abbia voglia di intervistarla o un’orchestra che possa accompagnare la sua voce ancora un’ultima volta. È (anche) un potentissimo film sul cinema Maria, una pellicola in cui è la stessa Callas a dirigere l’autobiografia per immagini che vorrebbe scrivere, mentre si mescolano i formati, il colore con il bianco e nero, il passato reale con un presente immaginato, o viceversa. Grazie a un ritmo di montaggio dalla forza impressionante, Larraín dirige una sinfonia estremamente coinvolgente, ad altissimo ritmo, e capace di toccare corde molto profonde, scavando negli abissi dell’animo umano. Le scelte musicali scandiscono i momenti della vita della Callas, rappresentata qui nel momento di massimo tormento possibile, quello in cui cerca di avere ancora una voce da far sentire a qualcuno e quello in cui deve salutare la vita per un’ultima volta. Notevole il copione di Steven Knight, capace di regalare alcuni dialoghi di grande forza drammaturgica che valorizzano ancora di più i personaggi in scena. Il cast funziona bene, ma una menzione a parte va alla gigantesca prova di Angelina Jolie nel ruolo più intenso e sentito di tutta la sua carriera. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.
Dopo Jackie (2016) e Spencer (2021), Pablo Larraín firma una terza (anti)biografia di un’altra icona femminile del ventesimo secolo, mescolando spunti e ossessioni già presenti in quei due lungometraggi precedenti, incentrati su traumi e su fantasmi impossibili da scacciare, esattamente come succede in Maria. Si apre con una lunga e bellissima inquadratura su una porta aperta («così la musica può sempre entrare», dirà la Callas a sua sorella) che lascia presagire la presenza di un cadavere in mezzo al corridoio: si apre con la morte questo lungometraggio che si concentra sugli ultimi, tormentati giorni di vita della cantante, vittima di dipendenza da farmaci, che la portano ad avere visioni e allucinazioni, dei quali, però, non vuole fare a meno. Attraverso una scelta metanarrativa che può far ripensare anche a un altro grande film come Neruda (2016), Larraín ci mostra un’artista che crea personaggi attorno a sé, tra chi abbia voglia di intervistarla o un’orchestra che possa accompagnare la sua voce ancora un’ultima volta. È (anche) un potentissimo film sul cinema Maria, una pellicola in cui è la stessa Callas a dirigere l’autobiografia per immagini che vorrebbe scrivere, mentre si mescolano i formati, il colore con il bianco e nero, il passato reale con un presente immaginato, o viceversa. Grazie a un ritmo di montaggio dalla forza impressionante, Larraín dirige una sinfonia estremamente coinvolgente, ad altissimo ritmo, e capace di toccare corde molto profonde, scavando negli abissi dell’animo umano. Le scelte musicali scandiscono i momenti della vita della Callas, rappresentata qui nel momento di massimo tormento possibile, quello in cui cerca di avere ancora una voce da far sentire a qualcuno e quello in cui deve salutare la vita per un’ultima volta. Notevole il copione di Steven Knight, capace di regalare alcuni dialoghi di grande forza drammaturgica che valorizzano ancora di più i personaggi in scena. Il cast funziona bene, ma una menzione a parte va alla gigantesca prova di Angelina Jolie nel ruolo più intenso e sentito di tutta la sua carriera. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.