Cile, 1973. Sullo sfondo della caduta di Salvador Allende e dell'avvento di Augusto Pinochet, il solitario Mario Cornejo (Alfredo Castro), impiegato in un obitorio, coltiva il suo amore impossibile per la ballerina Nancy (Antonia Zegers). La nasconderà, proteggendola dall'esercito e dalla prigionia.

Reduce dal sorprendente Tony Manero (2008), Pablo Larraín (anche sceneggiatore con Mateo Iribarren) mette in scena l'orrore della Storia, tratteggiando l'apocalisse cilena seguita alla destituzione di Allende e lo spettro della dittatura: a filtrare le miserie di una realtà inaccettabile, lo sguardo pietrificato e vacuo del protagonista (un ottimo Alfredo Castro), impotente alla ribellione e desideroso di rifugiarsi nell'utopia di un sentimento. Apprezzabile l'attitudine a un cinema di solido impegno civile, che Larraín tratteggia e veicola attraverso il notevole parallelismo tra individuo e società, ma non tutti gli snodi si dimostrano coerenti e l'analisi psicologica sui personaggi è più efficace nella prima che nella seconda parte. Nonostante il ritmo catatonico, comunque, lo stile scarno e senza sbavature riesce a colpire e la fotografia è essenziale e incisiva al punto giusto. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.


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