Il regista Apitchapong Weerasethakul fa le prove di un suo film che non verrà portato a termine, Ectasy Garden, in un'ambientazione ibrida in cui non si riesce a distinguere cosa appartiene al set e cosa alla vita, tra madri e figlie, tra amanti e scorci di una natura in disarmo.

Documentario sulla lavorazione di un progetto irrealizzato, Mekong Hotel si erge a testimone di una stasi stramba ed inquietante, che presta però un pessimo servizio allo sguardo dell'autore thailandese, già di suo incline all'affettata contemplazione e alla staticità. Si tratta di fatto del suo lavoro più autistico, impalpabile, deprecabile e tragicamente involuto, che pure non sembra avere pretese elevatissime e non merita pertanto accanimenti ulteriori. Il suono della chitarra accompagna per intero il flusso delle immagini, che, tra le altre cose, ci regala fantasmi cannibali un po' vampireschi ed eccentricità varie in questo caso totalmente ingiustificate. Ci sarebbe in parte da salvare la riflessione geopolitica sui confini tra la Thailandia e il Laos e i rimandi legati a tale aspetto, in particolare la sordità della politica ufficiale in rapporto ai disastri naturali, che però in tale contesto suonano davvero come un corpo estraneo.
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