Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti
Loong Boonmee raleuk chat
Durata
114
Formato
Regista
Lo zio Boonmee (Thanapat Saisaymar) è un signore thailandese malato ai reni e prossimo alla morte, che spende gli ultimi attimi che gli restano da vivere in compagnia della sua famiglia. I suoi affetti più cari riemergono dall'oblio dell'oscurità e della morte (il figlio è diventato una scimmia coperta di pelo scuro e dagli occhi rossi lampeggianti), per accompagnarlo nell'ultimo viaggio, quello più importante.
Spiritualismo, forme primitive di religiosità zoomorfa, reincarnazioni, accoppiamenti di dubbia credibilità, imperscrutabili culti locali. Un calderone di credenze e stucchevole filosofia per cui è impossibile empatizzare, se non attraverso uno spirito cinefilo pseudo intellettuale. L'abisso che separa occidente e cultura animista orientale rende ancora più ostica un'opera fragilissima e d'ispirazione intermittente, circostanziale e vanamente meditabonda, intenzionata a indulgere in modo stucchevole sulle pause, sui silenzi, perfino sulla ricercatezza pittorica e compositiva di certe immagini palesemente messe in quadro, così attratte dai fantasmi che le abitano: eppure, questi ultimi appartengono al mondo dei vivi, a tal punto da assumerne i medesimi tratti sfuggenti ed elusivi. Pesci gatto, bufali in fuga, caverne elette a simboli uterini: una sagra di simboli che possono anche affascinare, ma che di sicuro raccontano ben poco, alludendo soltanto. Palma d'oro a Festival di Cannes nel 2010: una scelta decisamente troppo generosa del presidente di giuria Tim Burton.
Spiritualismo, forme primitive di religiosità zoomorfa, reincarnazioni, accoppiamenti di dubbia credibilità, imperscrutabili culti locali. Un calderone di credenze e stucchevole filosofia per cui è impossibile empatizzare, se non attraverso uno spirito cinefilo pseudo intellettuale. L'abisso che separa occidente e cultura animista orientale rende ancora più ostica un'opera fragilissima e d'ispirazione intermittente, circostanziale e vanamente meditabonda, intenzionata a indulgere in modo stucchevole sulle pause, sui silenzi, perfino sulla ricercatezza pittorica e compositiva di certe immagini palesemente messe in quadro, così attratte dai fantasmi che le abitano: eppure, questi ultimi appartengono al mondo dei vivi, a tal punto da assumerne i medesimi tratti sfuggenti ed elusivi. Pesci gatto, bufali in fuga, caverne elette a simboli uterini: una sagra di simboli che possono anche affascinare, ma che di sicuro raccontano ben poco, alludendo soltanto. Palma d'oro a Festival di Cannes nel 2010: una scelta decisamente troppo generosa del presidente di giuria Tim Burton.