Una donna (Susannah York) è tormentata da visioni che la spingono alle soglie della follia. Poco amata da un marito che la trascura (Rene Auberjonois), vedrà la presenza di un ex compagno farsi sempre più insistente, al punto da compromettere sensibilmente il suo già fragile equilibrio psichico e il caos delle sue immagini mentali.

Un Altman più sbalestrato del solito dà vita a questo impasto di incubi visionari filtrati da una prospettiva tutta femminile, che vorrebbe essere una specie di istantanea in divenire di un anima ridotta in pezzi dall'iperattivismo di un'immaginazione malata. Premesse sontuose e stimolanti, ma l'impianto figurativo del film è vessato da una continua tendenza a rialzare la posta che produce un'opera malferma e priva di alcuni salutari argini, necessari per dare corpo sullo schermo a una storia, ma soprattutto a una condizione umana del genere. Filmare l'instabilità con altrettanta instabilità produce invece un effetto vorticoso che più che riprodurre un malessere si accontentata di esserne vittima esso stesso. Parentesi insolita per il regista, ma l'ispirazione sotto acido non è quella che gli è più congeniale. Comunque memorabile Susannah York, Palma d'Oro a Cannes per la miglior interpretazione femminile.
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