Nel Seicento dominato dagli spagnoli, Pasquale Cicciacalda (Totò) si finge monaco per sfamare se stesso e i suoi i dodici figli. Peregrinando giunge al castello di don Egidio (Nino Taranto) e scopre che l'uomo tiene prigioniera la cognata Fiorenza (Lisa Gastoni), che decide di aiutare.

Il riferimento manzoniano si ferma al titolo e al contesto storico: il resto è pura peripezia di scontri tra buoni e cattivi. I toni scanzonati assorbono situazioni e possibilità da ogni occasione, spesso con un atteggiamento sin troppo indiscriminato. I classici meccanismi comici basati sui cortocircuiti temporali risultano macchinosi e sbilanciati sul presente: da questo punto di vista, l'inserto musicale dei falsi frati Adriano Celentano e Don Backy rompe con eccessiva violenza il tessuto narrativo (sia pure di un film brillante). Totò, qui in combutta con un sodale della bravura di Nino Taranto, riesce ancora a dar vita ad alcune gustose fantasie: irresistibili, ad esempio, il dialogo sulla cripta, i giochi di parole, i tipici fraintendimenti verbali nei botta e risposta. I due danno l'impressione di poter andare avanti all'infinito, fulminandosi a vicenda con trovate sempre nuove o rivitalizzando quelle più stantie in un processo che li porta a sganciarsi dal tessuto narrativo. Meno a fuoco Erminio Macario, che pure in quegli anni venne spesso affiancato a Totò, nonostante i loro stili non collimassero affatto.
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