
Monty Python – Il senso della vita
The Meaning of Life
Durata
107
Formato
Regista
Serie di sketch firmati dai Monty Python che, attraverso lo sberleffo di mode, tendenze e tic dell'umanità contemporanea, cercano di arrivare a identificare un ideale (non)senso della vita.
L'ultimo e più celebre film dei Monty Python, girato prima che ogni singolo membro del gruppo si dedicasse a progetti individuali, è, con ogni probabilità, anche la loro opera più riuscita. Dopo due pellicole assimilabili al cinema classico (Monty Python e il Sacro Graal del 1975 e Brian di Nazareth del 1979), con un plot, degli attori con dei ruoli fissi e una storia che iniziava e si esauriva in 90 minuti, John Cleese e soci tornano alle loro origini: riprendono il linguaggio televisivo che li aveva lanciati e assemblano schegge di satira nonsense di pochi minuti, disinteressandosi di creare legami narrativi tra di esse. Spesso i tempi comici, perfetti per le gag televisive, soffrono la lunghezza “cinematografica” e il ritmo latita, ma questa volta la maturata potenza registica di Terry Gilliam, unita alla grande ispirazione comica di alcuni episodi (si pensi al cortometraggio iniziale The Crimson Permanent Assurance), porta a un altissimo livello di satira intelligente sull'occidente e la sua cultura negli anni '80. Ed è proprio da un punto di vista storico-cinematografico che la pellicola rivela tutta la sua forza e la sua importanza: se nei film precedenti venivano prese di mira le religioni e la corrotta e corporativa Inghilterra laburista degli anni '70, qui il black humor più dissacrante va a colpire (con successo) proprio le radici della società capitalistica contemporanea (dalla turbo-finanza al neo-colonialismo, fino al consumismo sfrenato), rivelando la grande capacità del gruppo di saper leggere i mutamenti e le direzioni della Storia. Tritasassi multimediale che ha dato vita a un nuovo modo di intendere l'umorismo intelligente, vinse il Gran premio della Giuria al Festival di Cannes.
L'ultimo e più celebre film dei Monty Python, girato prima che ogni singolo membro del gruppo si dedicasse a progetti individuali, è, con ogni probabilità, anche la loro opera più riuscita. Dopo due pellicole assimilabili al cinema classico (Monty Python e il Sacro Graal del 1975 e Brian di Nazareth del 1979), con un plot, degli attori con dei ruoli fissi e una storia che iniziava e si esauriva in 90 minuti, John Cleese e soci tornano alle loro origini: riprendono il linguaggio televisivo che li aveva lanciati e assemblano schegge di satira nonsense di pochi minuti, disinteressandosi di creare legami narrativi tra di esse. Spesso i tempi comici, perfetti per le gag televisive, soffrono la lunghezza “cinematografica” e il ritmo latita, ma questa volta la maturata potenza registica di Terry Gilliam, unita alla grande ispirazione comica di alcuni episodi (si pensi al cortometraggio iniziale The Crimson Permanent Assurance), porta a un altissimo livello di satira intelligente sull'occidente e la sua cultura negli anni '80. Ed è proprio da un punto di vista storico-cinematografico che la pellicola rivela tutta la sua forza e la sua importanza: se nei film precedenti venivano prese di mira le religioni e la corrotta e corporativa Inghilterra laburista degli anni '70, qui il black humor più dissacrante va a colpire (con successo) proprio le radici della società capitalistica contemporanea (dalla turbo-finanza al neo-colonialismo, fino al consumismo sfrenato), rivelando la grande capacità del gruppo di saper leggere i mutamenti e le direzioni della Storia. Tritasassi multimediale che ha dato vita a un nuovo modo di intendere l'umorismo intelligente, vinse il Gran premio della Giuria al Festival di Cannes.