Perfect Blue
Pafekuto Buru
Durata
81
Formato
Regista
Una giovane pop star giapponese, Mima Kirigoe, decide di abbandonare la musica e di darsi alla recitazione, debuttando in una serie TV drammatica. Tra insistenti minacce, uno stalker ossessionato da lei, omicidi sul set e allucinazioni varie, la ragazza si ritrova a essere in uno stato di grave instabilità mentale.
Opera prima del regista d'animazione giapponese Satoshi Kon, tratta dall'omonimo romanzo di Yoshikazu Takeuchi, Perfect Blue è un thriller psicologico che affronta il tema della sindrome di Lasègue-Falret (disturbo psicotico condiviso) in maniera originale, utilizzando la tensione interiore e il malessere psichico come mezzo per destrutturare l'ambiente consumista della cultura pop nipponica, come faranno anche i successivi lavori dell'autore, compresa la notevolissima serie Paranoia Agent (2004). Si può definire questo esordio una ventata d'aria fresca in un periodo come gli anni Novanta, in cui i lungometraggi animati orientali (Studio Ghibli a parte) sembravano essere bloccati in una logica fantascientifica priva di un supporto creativo realmente degna di nota: l'estetica labirintica di Kon, che sembra ispirarsi al cinema di David Lynch, è innovativa principalmente per come mescola un apparato visivo tutto sommato abbastanza rozzo (ma non fuori contesto vista la sporcizia dei temi e dei toni trattati) con un montaggio impeccabile e coerente con l’atmosfera di follia che permea l'intera opera. Il risultato è un prodotto inquietante al punto giusto, ricco di riusciti colpi di scena e capace di dare vita a una riflessione tutt’altro che banale sul mondo dello spettacolo, tema che il regista riprenderà nel suo secondo lungometraggio Millennium Actress (2001).
Opera prima del regista d'animazione giapponese Satoshi Kon, tratta dall'omonimo romanzo di Yoshikazu Takeuchi, Perfect Blue è un thriller psicologico che affronta il tema della sindrome di Lasègue-Falret (disturbo psicotico condiviso) in maniera originale, utilizzando la tensione interiore e il malessere psichico come mezzo per destrutturare l'ambiente consumista della cultura pop nipponica, come faranno anche i successivi lavori dell'autore, compresa la notevolissima serie Paranoia Agent (2004). Si può definire questo esordio una ventata d'aria fresca in un periodo come gli anni Novanta, in cui i lungometraggi animati orientali (Studio Ghibli a parte) sembravano essere bloccati in una logica fantascientifica priva di un supporto creativo realmente degna di nota: l'estetica labirintica di Kon, che sembra ispirarsi al cinema di David Lynch, è innovativa principalmente per come mescola un apparato visivo tutto sommato abbastanza rozzo (ma non fuori contesto vista la sporcizia dei temi e dei toni trattati) con un montaggio impeccabile e coerente con l’atmosfera di follia che permea l'intera opera. Il risultato è un prodotto inquietante al punto giusto, ricco di riusciti colpi di scena e capace di dare vita a una riflessione tutt’altro che banale sul mondo dello spettacolo, tema che il regista riprenderà nel suo secondo lungometraggio Millennium Actress (2001).