Scalciando e strillando
Kicking and Screaming
Durata
96
Formato
Regista
Finito il college, un gruppo di neolaureati stenta a dare un nuovo inizio alla proprio vita, rifugiandosi dietro le mura di discorsi filosofici, esistenziali e sentimentali. C'è Grover (Josh Hamilton) che rischia di perdere per sempre la fidanzata Jane (Olivia d'Abo), intenta a intraprendere un viaggio di studio a Praga; ci sono Otis (Carlos Jacott), Max (Chris Eigeman) e Skippy (Jason Wiles) che passano le giornate tra un drink al bar e una serata a rimorchiare; c'è Chet (Eric Stoltz), studente di professione che non ha la minima intenzione di intraprendere una carriera.
Esordio alla regia del ventiseienne Noah Baumbach, Scalciando e strillando è il ritratto di una generazione profondamente intrisa di malinconia, capace di strutturare discorsi di un'intelligenza sopraffina, ma al contempo spaventata a morte dai mille pericoli concreti che la vita può riservare. Il tema dell'amicizia si sposa a quello più spinoso dell'ingresso nell'età adulta, così come l'amore è sempre un argomento che, pur dietro una patina di leggerezza e spensieratezza, è trattato con prudente rispetto. Baumbach, a metà strada tra Woody Allen e Kevin Smith, costruisce il suo microcosmo ansiolitico e tenta di popolarlo con personaggi sfaccettati, complessi, logorroici, poetici, ma il ritratto non è così credibile come le ambizioni vorrebbero far pensare e il tutto scade a tratti nel melodramma o nella commedia dei buoni sentimenti. Apprezzabile, in ogni caso, l'attenta ricerca sul linguaggio e sulle dinamiche intergenerazionali. Musiche di Phil Marshall, fotografia di Steven Bernstein.
Esordio alla regia del ventiseienne Noah Baumbach, Scalciando e strillando è il ritratto di una generazione profondamente intrisa di malinconia, capace di strutturare discorsi di un'intelligenza sopraffina, ma al contempo spaventata a morte dai mille pericoli concreti che la vita può riservare. Il tema dell'amicizia si sposa a quello più spinoso dell'ingresso nell'età adulta, così come l'amore è sempre un argomento che, pur dietro una patina di leggerezza e spensieratezza, è trattato con prudente rispetto. Baumbach, a metà strada tra Woody Allen e Kevin Smith, costruisce il suo microcosmo ansiolitico e tenta di popolarlo con personaggi sfaccettati, complessi, logorroici, poetici, ma il ritratto non è così credibile come le ambizioni vorrebbero far pensare e il tutto scade a tratti nel melodramma o nella commedia dei buoni sentimenti. Apprezzabile, in ogni caso, l'attenta ricerca sul linguaggio e sulle dinamiche intergenerazionali. Musiche di Phil Marshall, fotografia di Steven Bernstein.