È piena estate a New York, quando di fronte a un palazzo si incrociano le esistenze di una serie di personaggi che discutono tra loro. Si susseguono pettegolezzi, corteggiamenti, speranze rivoluzionarie e persino un omicidio: tutto nel giro di poche ore.

Dopo il magnifico La folla (1928), King Vidor rende la città ancora protagonista di un suo film, ma in questo caso non dà una visione d'insieme della metropoli e ritrae soltanto un angolino simbolico, capace di fungere da “parte per il tutto” dell'ambiente urbano. Ispirandosi a una commedia di Elmer Rice, vincitrice del premio Pulitzer, il regista crea un film tecnicamente formidabile, dove la limitatezza dello spazio si trasforma in un'occasione per costruire una narrazione claustrofobica e di grande coinvolgimento. I tanti tipi messi in campo sono interessanti e rappresentano, simbolicamente, la collettività media della Grande Mela, ma più che per il respiro sociologico – comunque efficace – è una pellicola da ricordare per la forza dei dialoghi e per l'impeccabile ritmo interno, in cui non c'è alcuno stacco di montaggio di troppo e dove la fotografia di George Barnes riesce a dare il meglio di sé. Da segnalare anche le musiche di Alfred Newman in perfetta sintonia con il resto dell'operazione.
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