Lo spirito dell'alveare
El espíritu de la colmena
Durata
97
Formato
Regista
In un borgo rurale della Meseta spagnola, nel 1940, all'indomani della Guerra Civile, due bambine scoprono il cinema con il Frankenstein di James Whale. Per la piccola Ana (Ana Torrent) sarà impossibile tornare a guardare la vita con gli stessi occhi.
Primo lungometraggio diretto dal cineasta basco Victor Erice, figura tra le più affascinanti e inafferrabili del cinema spagnolo, autore che concepisce il cinema come fondamentale viatico di rivelazione, capace di dare un senso nuovo e pieno all'esperienza umana. Fin da questo suo titolo d'esordio, da subito apprezzato dalla critica internazionale, si chiarisce questo essenziale punto di partenza. Per la piccola Ana l'arrivo del cinematografo nel paese produce un vero e proprio rito di passaggio. La creatura di Frankenstein non è che la sintesi proiettiva di tutto quello a cui la sua purezza non riesce a dare un significato: l'orrore della guerra, la solitudine, la violenza, la morte. Nella immagine filmica tutto questo trova una sua oggettivazione trasfigurata, all'interno di uno spazio di finzione che è tuttavia inscindibile dalla vita reale ai suoi occhi di una bambina. Echi della recente guerra fratricida evocano il tempo della perdita dell'innocenza, splendidamente catturato dalla vivida fotografia di Luis Cuadrado. Di grande equilibrio e compostezza formale la regia, in cui un intenso sentore di nostalgia allarga lo sguardo di Erice a una dimensione affettiva profonda verso l'oggetto della sua narrazione. Primo premio al Festival di San Sebastián.
Primo lungometraggio diretto dal cineasta basco Victor Erice, figura tra le più affascinanti e inafferrabili del cinema spagnolo, autore che concepisce il cinema come fondamentale viatico di rivelazione, capace di dare un senso nuovo e pieno all'esperienza umana. Fin da questo suo titolo d'esordio, da subito apprezzato dalla critica internazionale, si chiarisce questo essenziale punto di partenza. Per la piccola Ana l'arrivo del cinematografo nel paese produce un vero e proprio rito di passaggio. La creatura di Frankenstein non è che la sintesi proiettiva di tutto quello a cui la sua purezza non riesce a dare un significato: l'orrore della guerra, la solitudine, la violenza, la morte. Nella immagine filmica tutto questo trova una sua oggettivazione trasfigurata, all'interno di uno spazio di finzione che è tuttavia inscindibile dalla vita reale ai suoi occhi di una bambina. Echi della recente guerra fratricida evocano il tempo della perdita dell'innocenza, splendidamente catturato dalla vivida fotografia di Luis Cuadrado. Di grande equilibrio e compostezza formale la regia, in cui un intenso sentore di nostalgia allarga lo sguardo di Erice a una dimensione affettiva profonda verso l'oggetto della sua narrazione. Primo premio al Festival di San Sebastián.