Dopo Operai, contadini (2001), che parlava della nascita di una comune italiana mostrandocene la formazione e la composizione eterogenea, un altro film tratto da Le donne di Messina di Elio Vittorini, che stavolta parla della dissoluzione della medesima organizzazione comunitaria.

Straub e Huillet, secondo una prassi consolidata che nel corso della loro carriera si è ripetuta più e più volte, tornano sul luogo del delitto e si cimentano nuovamente con gli scritti di Elio Vittorini, lavorando in questo caso non sulla costruzione ma sulla distruzione, non sull'assemblaggio ma sulla disgregazione. L'approccio dei due autori è anche stavolta ermeneutico e cervellotico, a tal punto da sfociare nel criptico: lo stile barricadero della regia non conosce mezzi termini e non fa nulla per sottolineare l'idea di voler maneggiare un testo letterario sotto una luce rinnovata e magari diversa, limitandosi a mettere in piedi una versione formalmente feroce e visivamente raggelata del modello di riferimento. L'oltranzismo dei registi ripaga tuttavia solo a corrente alternata, faticando a imporre la valenza del proprio voto di castità in ogni passaggio di un'opera tanto densa quanto attorcigliata su se stessa, intenta a restituire il cacofonico rumore del mondo da una prospettiva nichilista (ovvero senza mai muovere la macchina da presa, giusto per evidenziare il contrassegno stilistico più evidente). Musica di Edgar Varèse.
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