Durante un soggiorno in una villa nella campagna Toscana per scrivere un libro, il professore inglese Alfred (John Steiner) fa la conoscenza del piccolo Guido (Aldo Salvi), che stringe amicizia con suo figlio Robin (Mark Morganti). Osservando l'interesse del piccolo per la musica, lo scrittore pensa di insegnargli a suonare il piano, ma poi scopre che il vero talento di Guido è la matematica. Il prodigio attira però l'interesse anche della padrona di casa (Laura Betti) che, frustrata come madre e artista mancata, decide di prendere per sé il bimbo, approfittando dell'assenza dei suoi ospiti.

Il racconto da cui è tratta la storia è di Aldous Huxley, ma è impossibile non cogliere echi di La fine del gioco (1970) in questo incontro tra un intellettuale ben intenzionato e un bambino irriducibile agli schemi del mondo adulto. Immerso in un idilliaco scenario naturale e servito da un cast in parte, Amelio mette in scena una specie di favola amara raccontata in flashback da un Alfred scosso dai sensi di colpa. I dubbi che lo tormentano, sul confronto tra il figlio naturale e quello “adottivo” e sulla necessità e insieme l'impossibilità a non trattare i bambini come piccoli adulti, non sono invecchiati di un giorno e sono ancora in grado di colpire lo spettatore. Forse il punto più alto della collaborazione del regista con la televisione di stato, qui davvero in grado di dare vita a un'opera, seppur molto convenzionale, che non ha nulla da invidiare anche alle prove successive dell'autore.


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