Why War
Why War
Durata
87
Formato
Regista
Nel 1932, Albert Einstein (Micha Lescot) fu invitato dalla Società delle Nazioni a indirizzare una lettera su qualsiasi argomento a qualsiasi persona. Scelse di corrispondere con Sigmund Freud (Mathieu Amalric) su come evitare la guerra. Ancora oggi, la corrispondenza sulla guerra di due dei più grandi pensatori di tutti i tempi si rivela più che mai attuale.
Ispirandosi alla corrispondenza tra Albert Einstein e Sigmund Freud di quasi un secolo fa, della quale evoca e riprende direttamente il titolo, con Why War il regista israeliano Amos Gitai prosegue la sua riflessione sulle profonde radici morali e filosofiche dei conflitti umani, già portata avanti in diverse altre parentesi della sua filmografia. Nello stesso anno di Shikun (2024), in cui la recrudescenza del conflitto israeliano-palestinese dopo i fatti del 7 ottobre riviveva attraverso echi di Ionesco e un approccio metafisico agli spazi urbani, Gitai a pochi mesi di distanza torna sull’argomento creando un film-saggio che è al contempo viaggio nell’orrore del presente, operazione di rievocazione storica e intellettuale, installazione concettuale e video-saggio per immagini. Usando anche in questo la presenza dell’attrice Irène Jacob come punto di vista deliberatamente occidentale, incaricata di interrogarsi sul senso delle immagini della guerra in tv e di usare il suo corpo per momenti prossimi alla body art, il cineasta le affida le sequenze più fisiche e performative, mentre per gran parte dell’operazione si affida alla messa in scena del carteggio tra Einstein e Freud, due delle maggiori passione personalità del XX secolo, trovando nelle loro parole spunti per guardare all’orrore del presene con maggior lucidità e consapevolezza. Citando in particolare una frase scritta da Freud ad Einstein in conclusione di una sua lettera («Nel frattempo, possiamo dire a noi stessi: tutto ciò che funziona per lo sviluppo della cultura funziona anche contro la guerra»), Gitai rinuncia a ogni immagine cruenta e cruda del conflitto per traslare tutto su un piano intellettuale e, per l’appunto, culturale, nel quale l’elaborazione dei conflitti passa anzitutto dalle parole e l’intelletto umano si erge a solo approdo salvifico per continuare a trovare un senso in mezzo alle macerie, alla barbarie e all’orrore. L’operazione può dirsi nel complesso efficace, stimolante sul piano audiovisivo e capace di scuotere e suggestionare, fino ai rumori di aeroplani militari che puntellano i titoli di coda, anche se la teatralità esplicita dei carteggi interpreti da Mathiue Amalric e Micha Lescot può aprire in qualche occasione un po’ legnosa ed eccessivamente posticcia. Presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2024.
Ispirandosi alla corrispondenza tra Albert Einstein e Sigmund Freud di quasi un secolo fa, della quale evoca e riprende direttamente il titolo, con Why War il regista israeliano Amos Gitai prosegue la sua riflessione sulle profonde radici morali e filosofiche dei conflitti umani, già portata avanti in diverse altre parentesi della sua filmografia. Nello stesso anno di Shikun (2024), in cui la recrudescenza del conflitto israeliano-palestinese dopo i fatti del 7 ottobre riviveva attraverso echi di Ionesco e un approccio metafisico agli spazi urbani, Gitai a pochi mesi di distanza torna sull’argomento creando un film-saggio che è al contempo viaggio nell’orrore del presente, operazione di rievocazione storica e intellettuale, installazione concettuale e video-saggio per immagini. Usando anche in questo la presenza dell’attrice Irène Jacob come punto di vista deliberatamente occidentale, incaricata di interrogarsi sul senso delle immagini della guerra in tv e di usare il suo corpo per momenti prossimi alla body art, il cineasta le affida le sequenze più fisiche e performative, mentre per gran parte dell’operazione si affida alla messa in scena del carteggio tra Einstein e Freud, due delle maggiori passione personalità del XX secolo, trovando nelle loro parole spunti per guardare all’orrore del presene con maggior lucidità e consapevolezza. Citando in particolare una frase scritta da Freud ad Einstein in conclusione di una sua lettera («Nel frattempo, possiamo dire a noi stessi: tutto ciò che funziona per lo sviluppo della cultura funziona anche contro la guerra»), Gitai rinuncia a ogni immagine cruenta e cruda del conflitto per traslare tutto su un piano intellettuale e, per l’appunto, culturale, nel quale l’elaborazione dei conflitti passa anzitutto dalle parole e l’intelletto umano si erge a solo approdo salvifico per continuare a trovare un senso in mezzo alle macerie, alla barbarie e all’orrore. L’operazione può dirsi nel complesso efficace, stimolante sul piano audiovisivo e capace di scuotere e suggestionare, fino ai rumori di aeroplani militari che puntellano i titoli di coda, anche se la teatralità esplicita dei carteggi interpreti da Mathiue Amalric e Micha Lescot può aprire in qualche occasione un po’ legnosa ed eccessivamente posticcia. Presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2024.