Nel 1948, un gruppo di ebrei scampati all'Olocausto sbarcano in Palestina e, con l'aiuto del Palmach (l'esercito irregolare), si scontrano prima con i soldati britannici e poi con la popolazione araba, contraria agli insediamenti che, di lì a poco, porteranno alla nascita dello stato d'Israele.

Regista profondamente legato all'analisi storico-politica del suo Paese, l'israeliano Amos Gitai ne racconta le origini controverse in un'opera abbastanza lucida e dolente sull'ambiguità della Storia e sull'eterna sofferenza del popolo ebraico (in fondo, è anche un film sulla Shoah). Purtroppo le lodevoli intenzioni del regista, però, finiscono con l'impantanarsi a causa di ritmi elefantiaci, dove anche la scena clou (il sofferto monologo finale) non convince perché artificiosa, poco autentica. Il nome Kedma identifica la nave che nel film conduce gli ebrei protagonisti dall'Europa in Medio Oriente (nella realtà, era inoltre il mezzo trasportò i genitori di Rivka Gitai, moglie del regista) e in ebraico significa proprio “verso oriente”.
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