La vita di un giovane attore (Lucas Hedges) è scossa da impeti di violenza e traumi non rimossi del suo passato. Le sue inquietudini sono dovute al rapporto turbolento avuto col padre (Shia LaBeouf), quando era poco più che un bambino (Noah Jude).
È un progetto dalla genesi importante e curiosa Honey Boy: l’idea nasce dall’attore Shia LaBeouf, che ha scritto la sceneggiatura ispirandosi direttamente alle sue esperienze personali e al rapporto con suo padre. Il controverso interprete, però, veste proprio i panni della figura paterna, in questa sorta di seduta di (auto)psicanalisi in cui cerca di mettere a nudo le sue paure e i suoi esordi nel mondo dello spettacolo, avvenuti quando era un ragazzino. Indubbiamente, Honey Boy si sviluppa così come un progetto tanto ambizioso quanto rischioso, ma LaBeouf con la sua sceneggiatura e Alma Har’el con la regia evitano le trappole della retorica e firmano un lungometraggio sincero e spontaneo, dotato di alcuni momenti di grande intensità. Pur con qualche passaggio meno incisivo di altri, e nonostante un gioco di alternanza tra presente e passato del protagonista piuttosto scolastico, il film fa bene il suo dovere, risultando credibile e coinvolgente fino alla fine. Buona prova del piccolo Noah Jupe, ma a colpire è la notevolissima performance di LaBeouf che si è scelto un ruolo così difficile, emotivamente parlando. Vincitore del Premio Speciale della Giuria al Sundance Film Festival 2019.