Tokyo Drifter
Tôkyô nagaremono
1966
Paese
Giappone
Generi
Azione, Gangster, Drammatico
Durata
89 min.
Formati
Colore, Bianco e Nero
Regista
Seijun Suzuki
Attori
Tetsuya Watari
Chieko Matsubara
Tamio Kawachi
Tomoko Hamakawa
Ryūji Kita
Dopo essersi convertiti alla legalità, il vecchio boss Kurata (Ryūji Kita) e l'ex yakuza Tetsu (Tetsuya Watari) si trovano a fare i conti con il clan di Otsuka, deciso a impadronirsi a ogni costo della loro nuova attività. Quando in uno scontro a fuoco perde accidentalmente la vita una donna, Tetsu decide di coprire il suo boss e partire per il nord del paese. I sicari del clan Otsuka non lo lasceranno andar via tanto facilmente. Giunto ormai a un passo dalla rottura con la Nikkatsu, Seijun Suzuki prosegue nel suo personale percorso di sperimentazione all'interno dei generi e, ribaltando a suo favore la punitiva riduzione del budget a disposizione, porta a definitivo compimento il processo di destrutturazione dello yakuza-eiga (i film sulla mafia giapponese) iniziato tre anni prima con La giovinezza di una belva umana (1963). In questo senso la blanda sceneggiatura di Kōhan Kawauchi – un dozzinale intreccio gangsteristico a base di azione, amicizia e tradimenti – si presta perfettamente al gioco del regista che, muovendosi in un territorio codificato e ben familiare al suo pubblico, accentua fino al parossismo gli stereotipi del genere e imbastisce con abilità una pellicola in bilico fra l'elegia e la parodia. Si sviluppa così, sulle note di una malinconica canzone interpretata dallo stesso Tetsuya Watari, un racconto frammentato ed ellittico, che mescola i generi più disparati (dal noir al melodramma, passando per il western e il musical) e procede tortuosamente fra improvvisi scoppi di violenza, struggenti sospensioni narrative e repentini cambi di direzione. Facendo dell'antinaturalismo la sua bandiera, Suzuki allestisce una messa in scena kitsch e psichedelica destinata a influenzare numerosi registi a venire, non ultimo Quentin Tarantino per il suo Kill Bill – Volume 1 (2003). Calati in una dimensione semi-metafisica, fra scenografie stilizzate, dinamiche paradossali e surreali geometrie di luci e colori, i personaggi si rivelano semplici pedine al servizio di una performance pop audace e nichilista.
Maximal Interjector
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