Thiers, Francia centrale: ultimo mese di scuola elementare prima delle vacanze estive. Molti eventi scolastici e personali si susseguiranno in pochi giorni, lasciando in grandi e piccini un ricordo indelebile.

Dopo Adele H. (1975), François Truffaut riesce finalmente a trasferire sul grande schermo un'idea che risale all'epoca di I quattrocento colpi (1959), quando ebbe modo di lavorare per cinque giorni all'interno di una classe scolastica, rimanendo colpito dai fitti legami che si possono creare tra allievi, docenti e genitori. Quello che emerge dal film, sceneggiato magistralmente dal regista stesso in collaborazione con Suzanne Schiffman, è uno studio minuzioso su tutte le fasi dell'infanzia (dai primi passi fino al primo bacio con cui si conclude), oltre che una riflessione sulla necessità di protezione da parte dei più piccoli e un'attenzione sincera verso i loro bisogni. Tutti elementi da sempre cari a Truffaut, che riesce in questo caso a gestire il tutto dosando sapientemente (seppur con qualche incertezza) piglio analitico ed emozione, leggerezza e scavo, in una celebrazione delle mille sfaccettature della fanciullezza allo stesso tempo problematica e limpidamente poetica. Gli anni in tasca, retto su episodi autobiografici e spunti tratti da storie vere, non soltanto si schiera dalla parte dei bambini, ma si rivela un film di bambini vero e proprio, diretto da un regista che sa come farli recitare al meglio. Presentato in concorso al Festival di Berlino.
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