Aspettando la felicità
Heremakono
Durata
90
Formato
Regista
Nel villaggio costiero di Nouhadhibou, in Mauritania, tra l'oceano e il deserto si incrociano diversi personaggi: un piccolo apprendista elettricista e il suo maldestro maestro, un giovane che tenta di lasciare il suo paese per raggiungere l'Europa, una bambina che prende lezioni di canto tradizionale.
Frammentando una trama rarefatta e minimale, Sissako, al suo secondo lungometraggio, compone un mosaico di storie incastonato nella cornice antropologica della sua terra di origine, di cui evoca ritmi, suoni e colori. Regista dello sradicamento formatosi lontano dalla sua patria, Sissako offre uno sguardo sulla sua terra natia attraversato da forze centrifughe e pulsioni centripete, sospeso tra l'insopprimibile desiderio di fuggire e l'ineludibile necessità di tornare. La chiave scelta dal regista è quella della levità di tocco, dove ogni scelta espressiva esalta la pacificata serenità comunicata dal paesaggio. Anche l'esperienza del lutto per il piccolo Khatra, in quest'ottica, assume il valore di un passaggio necessario per poter apprezzare in modo rinnovato la vita. Una sottile traccia di ironia alla Kaurismaki pervade poi le diverse storie, contrappuntata da brani di disarmante delicatezza e sensibilità. Abbacinante sul piano figurativo, indulge forse solo in qualche momento nel compiacimento estetizzante. Fondamentale nella tessitura audiovisiva del film è la musica tradizionale mauritana, contaminata dagli influssi di quella più nota in occidente proveniente dal vicino Mali. Premio FIPRESCI a Cannes nel 2002.
Frammentando una trama rarefatta e minimale, Sissako, al suo secondo lungometraggio, compone un mosaico di storie incastonato nella cornice antropologica della sua terra di origine, di cui evoca ritmi, suoni e colori. Regista dello sradicamento formatosi lontano dalla sua patria, Sissako offre uno sguardo sulla sua terra natia attraversato da forze centrifughe e pulsioni centripete, sospeso tra l'insopprimibile desiderio di fuggire e l'ineludibile necessità di tornare. La chiave scelta dal regista è quella della levità di tocco, dove ogni scelta espressiva esalta la pacificata serenità comunicata dal paesaggio. Anche l'esperienza del lutto per il piccolo Khatra, in quest'ottica, assume il valore di un passaggio necessario per poter apprezzare in modo rinnovato la vita. Una sottile traccia di ironia alla Kaurismaki pervade poi le diverse storie, contrappuntata da brani di disarmante delicatezza e sensibilità. Abbacinante sul piano figurativo, indulge forse solo in qualche momento nel compiacimento estetizzante. Fondamentale nella tessitura audiovisiva del film è la musica tradizionale mauritana, contaminata dagli influssi di quella più nota in occidente proveniente dal vicino Mali. Premio FIPRESCI a Cannes nel 2002.