
Dillinger è morto
Durata
90
Formato
Regista
L'ingegnere Glauco (Michel Piccoli) torna a casa dalla moglie (Anita Pallenberg) dopo una giornata di lavoro. Le azioni quotidiane (riposare, mangiare, guardare la televisione) lasciano presto spazio a derive grottesche: dopo aver smontato, rimontato, dipinto una pistola e molestato la servetta Sabine (Annie Girardot), l'uomo arriverà a compiere un gesto estremo.
Una delle opere più anomale e coraggiose di Marco Ferreri (autore del soggetto e sceneggiatore con Sergio Bazzini), che si lancia anticonvenzionalmente nei territori del simbolismo e della piena rarefazione stilistica (la quasi totale assenza di dialoghi, la presenza di oggetti significanti all'interno delle inquadrature) per definire in maniera concreta e disturbante il concetto di alienazione. Lo sguardo autoriale, lucido e corrosivo, denuncia la disumanizzazione consumistica di un mondo alla deriva («I bisogni per la sopravvivenza fisica sono risolti dalla produzione industriale, che propone come altrettanto necessari i bisogni di rilassarsi, divertirsi, comportarsi, consumare in accordo con i modelli pubblicitari, che rendono manifesti i desideri che ognuno può provare») e si sovrappone totalmente alla prospettiva del protagonista, simbolo di una melliflua borghesia e, come tale, condannato alla perenne insoddisfazione fisica e morale. Rituali di stampo feticista (la cena, consumata con perizia quasi religiosa; la visione dei filmini vacanzieri, detonatori di violenze insostenibili e inconfessabili desideri erotici), compulsioni (i continui movimenti delle mani, impegnate in mimi o azioni effimere) e ossessioni (l'attitudine sessuale, frustrata nell'incontro con la cameriera) che preludono all'ansia di libertà (destinata al fallimento inconsapevole) e al collasso morale. Un'opera definitiva e disturbante, summa dei cardini ferreriani e in netto anticipo sui tempi nel tratteggiare limiti e contraddizioni di un desolante contesto sociale. Strepitosa interpretazione di Michel Piccoli e straniante colonna sonora di Teo Usuelli. Il titolo si riferisce all'articolo di un giornale letto dal protagonista.
Una delle opere più anomale e coraggiose di Marco Ferreri (autore del soggetto e sceneggiatore con Sergio Bazzini), che si lancia anticonvenzionalmente nei territori del simbolismo e della piena rarefazione stilistica (la quasi totale assenza di dialoghi, la presenza di oggetti significanti all'interno delle inquadrature) per definire in maniera concreta e disturbante il concetto di alienazione. Lo sguardo autoriale, lucido e corrosivo, denuncia la disumanizzazione consumistica di un mondo alla deriva («I bisogni per la sopravvivenza fisica sono risolti dalla produzione industriale, che propone come altrettanto necessari i bisogni di rilassarsi, divertirsi, comportarsi, consumare in accordo con i modelli pubblicitari, che rendono manifesti i desideri che ognuno può provare») e si sovrappone totalmente alla prospettiva del protagonista, simbolo di una melliflua borghesia e, come tale, condannato alla perenne insoddisfazione fisica e morale. Rituali di stampo feticista (la cena, consumata con perizia quasi religiosa; la visione dei filmini vacanzieri, detonatori di violenze insostenibili e inconfessabili desideri erotici), compulsioni (i continui movimenti delle mani, impegnate in mimi o azioni effimere) e ossessioni (l'attitudine sessuale, frustrata nell'incontro con la cameriera) che preludono all'ansia di libertà (destinata al fallimento inconsapevole) e al collasso morale. Un'opera definitiva e disturbante, summa dei cardini ferreriani e in netto anticipo sui tempi nel tratteggiare limiti e contraddizioni di un desolante contesto sociale. Strepitosa interpretazione di Michel Piccoli e straniante colonna sonora di Teo Usuelli. Il titolo si riferisce all'articolo di un giornale letto dal protagonista.