Lo sfaccendato Max (Mathieu Kassovitz) assiste per caso a un omicidio: tuttavia, il killer responsabile del delitto (Michel Serrault) decide di non uccidere il ragazzo, bensì di addestrarlo come suo allievo.

Assassin(s) si scaglia con veemenza contro la società contemporanea, rea di lasciarsi governare dalle banalità dell'intrattenimento mediatico. Dopo il successo de L'odio (1995), Mathieu Kassovitz continua il proprio percorso tra il degrado della periferia, concentrandosi su un'asettica visione dei rapporti umani, fondati su brutalità e avversione. Rumoroso e arrabbiato, il film non scagiona nessuno, puntando il dito contro i media e contro l'onnipresente mondo della pubblicità, principali colpevoli dello stato catatonico dell'uomo moderno. Qualche trovata pungente (anche se già vista altrove, come la sit-com fittizia) non giustifica un simbolismo eccessivo e fuori luogo, in un ambito in cui la violenza viene mostrata senza filtri in tutta la propria fredda crudeltà. Con eccesso di zelo, e quasi con intenti sociologici, il regista abusa di questa formula scioccante, ma non riesce mai a colpire davvero e, sotto la superficie, non ci sono grandi riflessioni che si nascondono. Causa di scandalo in patria, in Italia è passato con minor clamore, per di più penalizzato da un doppiaggio grossolano.
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