Anthony Halton (Melvyn Douglas), un americano benestante, incontra a Parigi una misteriosa donna (Marlene Dietrich) con cui ha un'avventura sentimentale e che soprannomina "Angelo". Ossessionato dall'idea di rincontrarla, Anthony scopre che la donna è Maria, annoiata e trascurata moglie del diplomatico austriaco Frederick Barker (Herbert Marshall), vecchio commilitone di Halton.

Tratto dalla pièce teatrale Angyal di Melchior Lengyel e sceneggiato da Samson Raphaelson e Frederick Lonsdale, una intelligente rivisitazione in chiave drammatica dei topoi tipici delle commedie lubitschiane. Il gioco di allusioni e non detti viene portato alle estreme conseguenze, dando vita a un melodramma in cui le reazioni emotive e gli impulsi passionali sono pressoché negati, confinati nel fuori campo. Così sappiamo solo dai servi, e dai loro divertiti commenti, della crescente tensione che accompagna la cena tra i tre protagonisti; allo stesso modo possiamo intuire, ma non vedere, la reazione di Frederick al telefono quando scopre la relazione tra sua moglie e il vecchio amico. In questo modo si costruisce una narrazione criptica e suggestiva che valorizza contraddizioni e ambiguità, lasciando libero spazio interpretativo allo spettatore dinnanzi a una vicenda volutamente irrisolta e enigmatica. E non contraddice tale impostazione nemmeno un finale più aperto di quanto non possa in apparenza sembrare. Ottima la prova della Dietrich, splendida e tenebrosa, ma Marshall e Douglas non sono da meno.
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