Il bacio della pantera
Cat People
Durata
73
Formato
Regista
La disegnatrice serba Irena Dubrovna (Simone Simon) si innamora, ricambiata, dell'americano Oliver Reed (Kent Smith) e accetta di sposarlo pur terrorizzata dalla propria convinzione di potersi trasformare in pantera se sottoposta a emozioni violente. Il matrimonio inizia presto a vacillare: l'intervento del dottor Louis Judd (Tom Conway) e di Alice Moore (Jane Randolph), collega di Oliver, scatenerà la tragedia.
«Sono sempre curioso di conoscere ciò che si nasconde dietro una facciata». Jacques Tourneur dirige un sofisticato horror dalle rarefatte e angosciose atmosfere, puntando dichiaratamente alla non rappresentazione del soprannaturale (secondo il regista inesprimibile e sottilmente contrapposto alla fragile razionalizzazione umana, incarnata dalla figura dello psichiatra) e mettendo in scena un mirabile chiaroscuro colmo di mistero e ambiguità. Uno sviluppo ellittico (che evita intelligentemente le lungaggini narrative per concentrarsi sugli snodi focali della vicenda) e uno stile cristallino (il montaggio funzionalmente serrato; il sapiente contrasto tra luci e ombre, nettamente a favore di queste ultime) che si fa simbolo di un retroterra psicologico e ideologico a dir poco coraggioso: le paure di una protagonista annientata dalla propria bestiale natura, metaforizzate dai cupi notturni («Io amo il buio, è fraterno»), e il tratteggio di una latente sessuofobia, che condanna la donna a una ghettizzazione tanto dolorosa quanto inevitabile. La totale assenza di spettacolarizzazione rende il tutto ancor più lancinante nella sua sobria stilizzazione, arrivando a climax che regalano sequenze da antologia: una su tutte, l'inseguimento di Alice da parte di una furiosa Irena, trionfo di quadri dettagliati, costruzione fulminea e suoni equivoci che confondono, invece di delimitare, il labile confine tra sogno e realtà. Cast in stato di grazia (straordinaria la performance della luminosa Simone Simon) e confezione impeccabile (fotografia di Nicholas Musuraca, musiche di Roy Webb). Scritto da DeWitt Bodeen.
«Sono sempre curioso di conoscere ciò che si nasconde dietro una facciata». Jacques Tourneur dirige un sofisticato horror dalle rarefatte e angosciose atmosfere, puntando dichiaratamente alla non rappresentazione del soprannaturale (secondo il regista inesprimibile e sottilmente contrapposto alla fragile razionalizzazione umana, incarnata dalla figura dello psichiatra) e mettendo in scena un mirabile chiaroscuro colmo di mistero e ambiguità. Uno sviluppo ellittico (che evita intelligentemente le lungaggini narrative per concentrarsi sugli snodi focali della vicenda) e uno stile cristallino (il montaggio funzionalmente serrato; il sapiente contrasto tra luci e ombre, nettamente a favore di queste ultime) che si fa simbolo di un retroterra psicologico e ideologico a dir poco coraggioso: le paure di una protagonista annientata dalla propria bestiale natura, metaforizzate dai cupi notturni («Io amo il buio, è fraterno»), e il tratteggio di una latente sessuofobia, che condanna la donna a una ghettizzazione tanto dolorosa quanto inevitabile. La totale assenza di spettacolarizzazione rende il tutto ancor più lancinante nella sua sobria stilizzazione, arrivando a climax che regalano sequenze da antologia: una su tutte, l'inseguimento di Alice da parte di una furiosa Irena, trionfo di quadri dettagliati, costruzione fulminea e suoni equivoci che confondono, invece di delimitare, il labile confine tra sogno e realtà. Cast in stato di grazia (straordinaria la performance della luminosa Simone Simon) e confezione impeccabile (fotografia di Nicholas Musuraca, musiche di Roy Webb). Scritto da DeWitt Bodeen.