Milano, 1848. Cainazzo (Adriano Celentano), furfantello di mezza tacca, incontra il romano Romolo Marcelli (Enzo Cerusico) nel pieno dei moti per la liberazione dal dominio austriaco. Trascinati loro malgrado nella rivoluzione, i due prendono coscienza della follia che li circonda: finirà male.

Incursione di Dario Argento nel genere storico, contaminato da commedia e dramma. La sceneggiatura (firmata dal regista con Nanni Balestrini, su soggetto di Argento, Luigi Cozzi e Vincenzo Ungari) tende a evidenziare la vitalità popolare, contrapposta e fondamentalmente estranea alle ipocrite dinamiche di potere («Ma tu vuoi davvero capire quello che dicono i signori? Se fosse così, non sarebbero più signori: quando loro ti parlano, tu devi dire sempre sì»). Le ambizioni sono giustificabili, il risultato altalenante: troppo stonati gli inserti comici (i demenziali incontri con pittoreschi personaggi, le gag velocizzate, i duetti tra Romolo e Cainazzo), che dovrebbero costituire un contrappunto straniante alla violenza della rivolta. E la maschera celentaniana mal si adatta a un ruolo che avrebbe richiesto ben altro spessore. In ogni caso, apprezzabile il tentativo di sfuggire a orrorifici schemi precostituiti (base primaria della notorietà di Argento). Marilù Tolo è la Contessa, Glauco Onorato è Zampino.
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