Glory to the filmmaker!
Kantoku Banzai!
Durata
108
Formato
Regista
Takeshi Kitano si interroga su se stesso e sul proprio modo di fare cinema. Desideroso di tornare a realizzare un'opera capace di raggiungere il successo commerciale di un tempo, decide di girare un film che racchiuda ogni genere cinematografico conosciuto: dalla fantascienza al J-horror, dal grottesco al melodramma, in un mix esplosivo e ricco di citazionismo.
Nel suo rincorrere disperatamente generi e soluzioni visive, Glory to the Filmmaker! sembra un contraltare filmico del cubismo pittorico, e si erge sulle macerie di una creatività, quella dello stesso Kitano, dichiaratamente compromessa, se non addirittura perduta. Pur caratterizzato da una prima parte nella quale la vena comica del regista sembra essere tornata quella del suo esordio come comico televisivo, il film non riesce a scrollarsi di dosso il peso della propria ambizione, finendo per sbandare contro le barriere della ripetitività e dell'autocelebrazione. Ecco allora che un progetto potenzialmente libero da vincoli autoriali, finisce per trasformarsi in uno schematico esempio di autorialismo, nel quale l'unico interesse di Kitano pare essere quello di proporre al pubblico un tedioso gioco a incastri costellato di citazioni e omaggi: un gioco da cui lo spettatore viene irrimediabilmente tagliato fuori. Seconda parte della trilogia sul "suicidio artistico", formata da Takeshis' (2005) e Achille e la tartaruga (2008), che segna una delle fasi peggiori della carriera del grande regista de Il silenzio sul mare (1991), Sonatine (1993) e Hana-bi (1997).
Nel suo rincorrere disperatamente generi e soluzioni visive, Glory to the Filmmaker! sembra un contraltare filmico del cubismo pittorico, e si erge sulle macerie di una creatività, quella dello stesso Kitano, dichiaratamente compromessa, se non addirittura perduta. Pur caratterizzato da una prima parte nella quale la vena comica del regista sembra essere tornata quella del suo esordio come comico televisivo, il film non riesce a scrollarsi di dosso il peso della propria ambizione, finendo per sbandare contro le barriere della ripetitività e dell'autocelebrazione. Ecco allora che un progetto potenzialmente libero da vincoli autoriali, finisce per trasformarsi in uno schematico esempio di autorialismo, nel quale l'unico interesse di Kitano pare essere quello di proporre al pubblico un tedioso gioco a incastri costellato di citazioni e omaggi: un gioco da cui lo spettatore viene irrimediabilmente tagliato fuori. Seconda parte della trilogia sul "suicidio artistico", formata da Takeshis' (2005) e Achille e la tartaruga (2008), che segna una delle fasi peggiori della carriera del grande regista de Il silenzio sul mare (1991), Sonatine (1993) e Hana-bi (1997).