La grande città
Big City
Durata
80
Formato
Regista
La moglie (Luise Rainer) di un onesto tassista (Spencer Tracy) è di origini russe e rischia l'estradizione dagli Stati Uniti. La donna però è in gravidanza e suo marito farà di tutto per scongiurare il sindaco (Charley Grapewin) a non costringerla al rimpatrio.
Se visto come un semplice melodramma, La grande città potrebbe tranquillamente deludere il pubblico per via del suo andamento poco accattivante, pedante e a tratti scontato; eppure Frank Borzage si avventura in un'operazione un po' più complessa della semplice messa in scena produttivamente inattaccabile o ineccepibile. La pellicola infatti nasconde una palpabile, seppur spesso celata o dissimulata, tendenza al realismo: lo scontro tra tassisti, il disarmo di una cittadina bollata come straniera di fronte a una società accanita e cinica, la povertà di una crisi ormai superata ma non ancora del tutto scomparsa sono elementi centrali all'interno dell'opera, tanto da costituirne il perno costitutivo e l'anima più profonda. Lo spettatore li percepisce in maniera quasi subliminale poiché amalgamati adeguatamente per non dire mimeticamente al resto degli elementi, eppure è improbabile non accorgersi della loro presenza. L'amaro in bocca lo si percepisce sin dal primo minuto, senza riuscire a comprenderne il motivo: una ragione di fascino in più, che di sicuro impreziosisce il valore di un'opera che, comunque, funziona a metà e in cui le esigenze produttive si sono fatte sentire più del dovuto.
Se visto come un semplice melodramma, La grande città potrebbe tranquillamente deludere il pubblico per via del suo andamento poco accattivante, pedante e a tratti scontato; eppure Frank Borzage si avventura in un'operazione un po' più complessa della semplice messa in scena produttivamente inattaccabile o ineccepibile. La pellicola infatti nasconde una palpabile, seppur spesso celata o dissimulata, tendenza al realismo: lo scontro tra tassisti, il disarmo di una cittadina bollata come straniera di fronte a una società accanita e cinica, la povertà di una crisi ormai superata ma non ancora del tutto scomparsa sono elementi centrali all'interno dell'opera, tanto da costituirne il perno costitutivo e l'anima più profonda. Lo spettatore li percepisce in maniera quasi subliminale poiché amalgamati adeguatamente per non dire mimeticamente al resto degli elementi, eppure è improbabile non accorgersi della loro presenza. L'amaro in bocca lo si percepisce sin dal primo minuto, senza riuscire a comprenderne il motivo: una ragione di fascino in più, che di sicuro impreziosisce il valore di un'opera che, comunque, funziona a metà e in cui le esigenze produttive si sono fatte sentire più del dovuto.