La moglie (Luise Rainer) di un onesto tassista (Spencer Tracy) è di origini russe e rischia l'estradizione dagli Stati Uniti. La donna però è in gravidanza e suo marito farà di tutto per scongiurare il sindaco (Charley Grapewin) a non costringerla al rimpatrio.

Se visto come un semplice melodramma, La grande città potrebbe tranquillamente deludere il pubblico per via del suo andamento poco accattivante, pedante e a tratti scontato; eppure Frank Borzage si avventura in un'operazione un po' più complessa della semplice messa in scena produttivamente inattaccabile o ineccepibile. La pellicola infatti nasconde una palpabile, seppur spesso celata o dissimulata, tendenza al realismo: lo scontro tra tassisti, il disarmo di una cittadina bollata come straniera di fronte a una società accanita e cinica, la povertà di una crisi ormai superata ma non ancora del tutto scomparsa sono elementi centrali all'interno dell'opera, tanto da costituirne il perno costitutivo e l'anima più profonda. Lo spettatore li percepisce in maniera quasi subliminale poiché amalgamati adeguatamente per non dire mimeticamente al resto degli elementi, eppure è improbabile non accorgersi della loro presenza. L'amaro in bocca lo si percepisce sin dal primo minuto, senza riuscire a comprenderne il motivo: una ragione di fascino in più, che di sicuro impreziosisce il valore di un'opera che, comunque, funziona a metà e in cui le esigenze produttive si sono fatte sentire più del dovuto.
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