Invelle
Durata
82
Formato
Regista
Zelinda, Assunta e Icaro sono tre bambini che vivono in tre epoche diverse: 1918, 1948 e 1978. Ciascuno di loro ha visto e affrontato le terribili conseguenze della guerra.
Esempio di cinema d’animazione artigianale unico nel panorama contemporaneo: bianco e nero a matita e pochi sporadici colori per alcuni dettagli accompagnano lo spettatore in una storia familiare multigenerazionale che racconta la vita in una provincia italiana povera e isolata, un non luogo (“invelle”, appunto) dove la vita sembra scorrere diversamente, cullata dalle voci narranti (ottimo lavoro di tra i più importanti attori italiani, da Servillo a Timi) e dove la grande Storia arriva solo da lontano, pur imprimendosi indelebilmente. Il fulcro è sempre l’infanzia, vissuta ai margini della tragedia della guerra mondiale e altri drammi nazionali, e lo sguardo bambinesco riporta questa complessa realtà in maniera frammentata e pur sempre intensa. A volte la narrazione si ritrova un po’ troppo atrofizzata, messa in secondo piano rispetto all’arte di Massi, i cui disegni malleabili mostrano scene che si susseguono una dentro l’altra come scatole cinesi. Ma è un limite che non toglie potenza all’apparato visivo del tutto originale del suo autore, qui al primo lungometraggio dopo una brillante carriera dedicata ai corti. Dimostrazione (l’ennesima) che il cinema d’animazione ha vita pulsante ed energica anche al di fuori del circuito più commerciale.
Esempio di cinema d’animazione artigianale unico nel panorama contemporaneo: bianco e nero a matita e pochi sporadici colori per alcuni dettagli accompagnano lo spettatore in una storia familiare multigenerazionale che racconta la vita in una provincia italiana povera e isolata, un non luogo (“invelle”, appunto) dove la vita sembra scorrere diversamente, cullata dalle voci narranti (ottimo lavoro di tra i più importanti attori italiani, da Servillo a Timi) e dove la grande Storia arriva solo da lontano, pur imprimendosi indelebilmente. Il fulcro è sempre l’infanzia, vissuta ai margini della tragedia della guerra mondiale e altri drammi nazionali, e lo sguardo bambinesco riporta questa complessa realtà in maniera frammentata e pur sempre intensa. A volte la narrazione si ritrova un po’ troppo atrofizzata, messa in secondo piano rispetto all’arte di Massi, i cui disegni malleabili mostrano scene che si susseguono una dentro l’altra come scatole cinesi. Ma è un limite che non toglie potenza all’apparato visivo del tutto originale del suo autore, qui al primo lungometraggio dopo una brillante carriera dedicata ai corti. Dimostrazione (l’ennesima) che il cinema d’animazione ha vita pulsante ed energica anche al di fuori del circuito più commerciale.