Ipcress
The Ipcress File
Durata
109
Formato
Regista
L'agente del controspionaggio britannico Harry Palmer (Michael Caine) deve indagare sulla sparizione di uno scienziato. Dopo averlo trovato, realizza che è stato vittima di un lavaggio del cervello per mezzo di una tecnica chiamata "Ipcress": scoprirà di essere al centro di un intrigo che coinvolge anche un suo superiore.
Vincitore di un BAFTA come miglior film britannico nel 1966, Ipcress è un'ironica e coinvolgente spy-story con protagonista la spia creata dal romanziere Len Deighton, che tornerà in una manciata di altri film, sempre interpretatati da Michael Caine. L'attore è perfetto nella parte di una specie di "anti-Bond", o meglio di un Bond più quotidiano e meno aristocratico: lo si vede dalla sequenza iniziale (quella del risveglio), dalla caustica e un po' fatalista ironia e da dettagli come i non esattamente sobri occhialoni indossati. Meno elegante, ma certamente non meno furbo e dotato. Le atmosfere sono british fino al midollo, così come il tono generale; il regista è abile a costruire il senso di minaccia con un costante e intelligente uso delle angolazioni della macchina da presa (a tratti, quasi espressionista) e con un sagace utilizzo di spazi e luci. Tra le scene più potenti, quella della tortura. Peccato, invece, per qualche calo di tensione e per una sceneggiatura complessivamente altalenante. Presentato in concorso al 18º Festival di Cannes.
Vincitore di un BAFTA come miglior film britannico nel 1966, Ipcress è un'ironica e coinvolgente spy-story con protagonista la spia creata dal romanziere Len Deighton, che tornerà in una manciata di altri film, sempre interpretatati da Michael Caine. L'attore è perfetto nella parte di una specie di "anti-Bond", o meglio di un Bond più quotidiano e meno aristocratico: lo si vede dalla sequenza iniziale (quella del risveglio), dalla caustica e un po' fatalista ironia e da dettagli come i non esattamente sobri occhialoni indossati. Meno elegante, ma certamente non meno furbo e dotato. Le atmosfere sono british fino al midollo, così come il tono generale; il regista è abile a costruire il senso di minaccia con un costante e intelligente uso delle angolazioni della macchina da presa (a tratti, quasi espressionista) e con un sagace utilizzo di spazi e luci. Tra le scene più potenti, quella della tortura. Peccato, invece, per qualche calo di tensione e per una sceneggiatura complessivamente altalenante. Presentato in concorso al 18º Festival di Cannes.