Cinque diverse metropoli (Los Angeles, New York, Parigi, Roma, Helsinki) per parlare di culture differenti attraverso scene ambientate nell'abitacolo di un taxi e che seguono un arco temporale ben definito: dal tramonto del primo episodio all'alba dell'ultimo.

Un Jarmusch decisamente in tono minore, che non rinuncia a fare un cinema fortemente personale e identitario ma nel quale si fa fatica a riscontrare autentiche ragioni d'interesse al di là della maniera. Jarmusch sembra alle prese con un compendio di antropologia turistica, e nasconde quasi totalmente il suo proverbiale minimalismo, che ha fatto la differenza in pellicole come Daunbailò (1986), Dead Man (1995) e Coffee and Cigarettes (2003). Purtroppo, com'è prevedibile, quando si scende in territorio italiano col prezzemolino Benigni a fare da istrione invadente, Taxisti di notte esplode in un campionario stereotipico: vespe rosse su cui uomini e donne fanno l'amore, altari di Madonne e altri lampi folkloristici di bassa lega. Gli altri episodi, invece, incidono ancor meno nel bagaglio culturale delle città in cui sono ambientati, ma intrattengono con piacevolezza solo a tratti. Dalle mani di un regista esule e straniero per vocazione com'è Jim Jarmusch, era lecito aspettarsi qualcosa in più di una variegata ma poco orginale confezione export.


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