Jerry 8 e ¾
The Patsy
Durata
101
Formato
Regista
Quando un famoso comico muore in una disgrazia aerea, il suo cinico team decide di rimpiazzarlo il prima possibile per continuare a cavalcare l'onda del successo. La scelta cade sul fattorino dell'albergo in cui i manager alloggiano, l'impacciato e stralunato Stanley Belt (Jerry Lewis). Guai a non finire.
Quinto lungometraggio per il cinema diretto dal grande Jerry Lewis, e uno dei suoi più deboli. Secondo una formula logora e ripetitiva, il film appare come una sequela di situazioni surreali (spesso slegate tra loro) costruite al solo scopo di esaltare la figura del protagonista. Lo sguardo blandamente satirico sullo show business e sul bieco opportunismo di chi lo popola acquista efficacia soprattutto nella dimensione metacinematografica (camei di George Raft, Hedda Hopper, Ed Sullivan, Ed Wynn, Mel Tormé e Rhonda Fleming, tra i tanti altri). La regia, spesso greve, arranca un po' nel giostrare i tempi comici dello script (Jerry Lewis e Bill Richmond) e la mimica di Jerry Lewis, spinta all'eccesso, appare spesso forzata e forse indigesta al pubblico europeo. Il tentativo di ricreare una comicità catastrofica di stampo cartoonesco colpisce comunque nel segno. Più che una storia, c'è un personaggio che racchiude in sé l'ingenuità, il candore e la fragilità di chi lo interpreta. Una trovata su due risulta stucchevole, ma l'altra fa faville. Inizialmente doveva essere il seguito del ben più riuscito Ragazzo tuttofare (1960). Titolo italiano fuorviante che pretendeva di cavalcare il successo del celeberrimo 8½ (1963) di Federico Fellini. Ultimo film di Peter Lorre (1904-1964).
Quinto lungometraggio per il cinema diretto dal grande Jerry Lewis, e uno dei suoi più deboli. Secondo una formula logora e ripetitiva, il film appare come una sequela di situazioni surreali (spesso slegate tra loro) costruite al solo scopo di esaltare la figura del protagonista. Lo sguardo blandamente satirico sullo show business e sul bieco opportunismo di chi lo popola acquista efficacia soprattutto nella dimensione metacinematografica (camei di George Raft, Hedda Hopper, Ed Sullivan, Ed Wynn, Mel Tormé e Rhonda Fleming, tra i tanti altri). La regia, spesso greve, arranca un po' nel giostrare i tempi comici dello script (Jerry Lewis e Bill Richmond) e la mimica di Jerry Lewis, spinta all'eccesso, appare spesso forzata e forse indigesta al pubblico europeo. Il tentativo di ricreare una comicità catastrofica di stampo cartoonesco colpisce comunque nel segno. Più che una storia, c'è un personaggio che racchiude in sé l'ingenuità, il candore e la fragilità di chi lo interpreta. Una trovata su due risulta stucchevole, ma l'altra fa faville. Inizialmente doveva essere il seguito del ben più riuscito Ragazzo tuttofare (1960). Titolo italiano fuorviante che pretendeva di cavalcare il successo del celeberrimo 8½ (1963) di Federico Fellini. Ultimo film di Peter Lorre (1904-1964).