Laissez-Passer
Laissez-Passer
Durata
170
Formato
Regista
Parigi, marzo 1942. Mentre la città è occupata dai nazisti, alla Continental Film, società tedesca con sede in Francia, si lavora a un nuovo film. L'aiuto regista Jean Devaivre (Jacques Gamblin) accetta di lavorare alla Continental in quanto perfetta copertura al suo impegno nella Resistenza. Lo scrittore Jean Aurenche (Denis Podalydes), invece, rifiuta qualsiasi forma di collaborazione con il nemico invasore
Tavernier racconta la Resistenza francese partendo da un insolito punto di vista: quello della produzione cinematografica dell'epoca. Forte degli studi e dei saggi dedicati al tema, il regista mostra con la consueta lucida e centrata semplicità le contraddizioni di un determinato momento storico, tra opportunistico collaborazionismo e pulsioni ribellistiche non sempre contenute e a tratti controproducenti. E la macchina cinema ci viene presentata come duplice strumento di sopravvivenza, sia da un punto di vista meramente pragmatico che da uno più liricamente spirituale, come mezzo di evasione ed espressione di una creatività soggiogata dalla brutalità del mondo circostante. Eppure il film non appare sempre equilibrato, alterna momenti decisamente riusciti e toccanti a cadute di ritmo e a qualche schematismo di troppo. Dialoghi serratissimi e a tratti eccessivamente abusati, mentre quando a parlare sono esclusivamente le immagini (il primo bombardamento su Parigi, le fughe in bicicletta del protagonista) si rimane spesso e volentieri stupefatti e commossi. Doppio premio al Festival di Berlino 2002: miglior attore (Jacques Gamblin) e miglior colonna sonora.
Tavernier racconta la Resistenza francese partendo da un insolito punto di vista: quello della produzione cinematografica dell'epoca. Forte degli studi e dei saggi dedicati al tema, il regista mostra con la consueta lucida e centrata semplicità le contraddizioni di un determinato momento storico, tra opportunistico collaborazionismo e pulsioni ribellistiche non sempre contenute e a tratti controproducenti. E la macchina cinema ci viene presentata come duplice strumento di sopravvivenza, sia da un punto di vista meramente pragmatico che da uno più liricamente spirituale, come mezzo di evasione ed espressione di una creatività soggiogata dalla brutalità del mondo circostante. Eppure il film non appare sempre equilibrato, alterna momenti decisamente riusciti e toccanti a cadute di ritmo e a qualche schematismo di troppo. Dialoghi serratissimi e a tratti eccessivamente abusati, mentre quando a parlare sono esclusivamente le immagini (il primo bombardamento su Parigi, le fughe in bicicletta del protagonista) si rimane spesso e volentieri stupefatti e commossi. Doppio premio al Festival di Berlino 2002: miglior attore (Jacques Gamblin) e miglior colonna sonora.