L'esca
L'appât
Premi Principali
Orso d'oro al Festival di Berlino 1995
Durata
115
Formato
Regista
Eric (Olivier Sitruk), Nathalie (Marie Gillain) e Bruno (Bruno Putzulu) sono decisi ad aprire un'attività commerciale in America. Per procurarsi rapidamente il denaro da investire, i tre ragazzi decidono di rapinare alcuni ricchi conoscenti cui Nathalie saltuariamente si concede: la ragazza fungerà così da esca. Gli improvvisati delinquenti si ritrovano ben presto a fare i conti con furti andati a male che portano a due omicidi.
Ispirandosi a un fatto di cronaca realmente avvenuto e all'omonimo romanzo di Morgan Sportès, Bertrand Tavernier filma la banalità e l'efferatezza del male il cui orrore ci viene solo suggerito ma non per questo si rivela meno disturbante e sconvolgente. I delitti di cui si macchiano i protagonisti non ci vengono mostrati in quanto sono, tutto sommato, secondari rispetto al discorso che il cineasta francese cerca di costruire. Attraverso uno stile rigoroso e velatamente documentarista, Tavernier ci racconta un'umanità smarrita e feroce, inadeguata alle difficoltà di tutti i giorni e proprio per questo frustrata, violenta e disposta a tutto pur di ritagliarsi il proprio spazio nel mondo, benché priva di un'identità, rintronata dalla televisione e da una cultura superficiale (il citazionismo cinematografico spesso fine a se stesso), volgare e abbruttita, smaniosa di trovare soluzioni facili a situazioni complesse. L'omicidio, quindi, è solo il risultato più evidente di un processo di disgregazione morale più profondo e drammatico. Se il film, poi, è bello ma meno potente e efficace rispetto alle sue potenzialità, lo si deve a una certa ripetitività e a una tendenza all'eccessiva sottolineatura degli impliciti sottotesti. Francamente insensato il divieto ai minori di 18 anni con cui il film è uscito nelle sale italiane. Orso d'oro per il miglior film al Festival di Berlino 1995.
Ispirandosi a un fatto di cronaca realmente avvenuto e all'omonimo romanzo di Morgan Sportès, Bertrand Tavernier filma la banalità e l'efferatezza del male il cui orrore ci viene solo suggerito ma non per questo si rivela meno disturbante e sconvolgente. I delitti di cui si macchiano i protagonisti non ci vengono mostrati in quanto sono, tutto sommato, secondari rispetto al discorso che il cineasta francese cerca di costruire. Attraverso uno stile rigoroso e velatamente documentarista, Tavernier ci racconta un'umanità smarrita e feroce, inadeguata alle difficoltà di tutti i giorni e proprio per questo frustrata, violenta e disposta a tutto pur di ritagliarsi il proprio spazio nel mondo, benché priva di un'identità, rintronata dalla televisione e da una cultura superficiale (il citazionismo cinematografico spesso fine a se stesso), volgare e abbruttita, smaniosa di trovare soluzioni facili a situazioni complesse. L'omicidio, quindi, è solo il risultato più evidente di un processo di disgregazione morale più profondo e drammatico. Se il film, poi, è bello ma meno potente e efficace rispetto alle sue potenzialità, lo si deve a una certa ripetitività e a una tendenza all'eccessiva sottolineatura degli impliciti sottotesti. Francamente insensato il divieto ai minori di 18 anni con cui il film è uscito nelle sale italiane. Orso d'oro per il miglior film al Festival di Berlino 1995.