La princesse de Montpensier
La princesse de Montpensier
Durata
140
Formato
Regista
Nel 1563, la bellissima Marie de Mézières (Mélanie Thierry), viene promessa in sposa al principe di Montpensier (Grégoire Leprince-Ringuet), ma è già innamorata di Enrico di Guisa (Gaspard Ulliel), esponente di una potente famiglia aristocratica. La relazione tra Marie ed Enrico prosegue nonostante il matrimonio della donna con Montpensier e malgrado la splendida principessa faccia innamorare di volta in volta ogni uomo che incontra.
Tavernier adatta l'omonima novella breve di Madame de La Fayette e dà vita a un melò convenzionale, piuttosto classico ma freddo, capace di risollevarsi da un'anonima mediocrità grazie a una confezione professionale ma priva di incisività e abbastanza autoreferenziale. Il cineasta francese è a suo agio con un genere, quello del film in costume, che conosce decisamente bene e sa descrivere con perizia e meticolosità le sfumature psicologiche dei personaggi e le ipocrisie soffuse dell'epoca. Ma a mancare sono la freschezza, l'originalità, uno sguardo ficcante e audace che pare essersi, al contrario, stemperato e ammorbidito. Un'opera che scorre faticosamente (le due ore e venti sono decisamente troppe), spesso in maniera ripetitiva e senza regalare particolari sussulti, ma offrendo, al contrario, numerosi momenti di stanca. Apprezzabile, seppur non indimenticabile la prova di Melanie Thierry.
Tavernier adatta l'omonima novella breve di Madame de La Fayette e dà vita a un melò convenzionale, piuttosto classico ma freddo, capace di risollevarsi da un'anonima mediocrità grazie a una confezione professionale ma priva di incisività e abbastanza autoreferenziale. Il cineasta francese è a suo agio con un genere, quello del film in costume, che conosce decisamente bene e sa descrivere con perizia e meticolosità le sfumature psicologiche dei personaggi e le ipocrisie soffuse dell'epoca. Ma a mancare sono la freschezza, l'originalità, uno sguardo ficcante e audace che pare essersi, al contrario, stemperato e ammorbidito. Un'opera che scorre faticosamente (le due ore e venti sono decisamente troppe), spesso in maniera ripetitiva e senza regalare particolari sussulti, ma offrendo, al contrario, numerosi momenti di stanca. Apprezzabile, seppur non indimenticabile la prova di Melanie Thierry.