
Il cappotto
Durata
101
Formato
Regista
Anni '30. Carmine De Carmine (Renato Rascel) è un modesto impiegato comunale che vorrebbe cambiare il suo cappotto ormai consumato dal tempo. Quando finalmente riesce a mettere da parte soldi a sufficienza, ne acquista uno. Un giorno però, rincasando da una festa, viene derubato del capo tanto desiderato, rimanendo al freddo e in preda a una crisi di nervi.
Tratto dall'omonimo racconto dello scrittore russo Nikolaj Gogol' e sceneggiato, tra gli altri, da Cesare Zavattini, Il cappotto è uno dei primi titoli italiani che prova a svincolarsi definitivamente dal neorealismo, in un clima sospeso dove realtà e fantasia coesistono alla perfezione. A una prima parte più incline alle convenzioni nostrane del tempo, Lattuada ne associa una seconda decisamente contrastante e bizzarra per la sua scelta di condurre la vicenda su binari più ironici e grotteschi. Una svolta coraggiosa che mette in risalto il talento del regista milanese nel saper coniugare due generi decisamente diversi, pur mantenendo fluida e coerente la linea narrativa della storia raccontata. Eccellenti l'ambientazione, con una nebbiosa Pavia mai più così “cinematografica”, e le interpretazioni (primo fra tutti il piccolo grande Renato Rascel, qui alla sua prima esperienza drammatica). Rimanendo sempre un passo dietro rispetto al patetismo e alla compassione, il film tocca corde profonde senza mai gridare il suo dolore in primo piano. Uno dei titoli più riusciti e significativi della carriera di Lattuada, autore mai valorizzato abbastanza. Presentato al Festival di Cannes, ottenne un buon successo sia di critica che di pubblico.
Tratto dall'omonimo racconto dello scrittore russo Nikolaj Gogol' e sceneggiato, tra gli altri, da Cesare Zavattini, Il cappotto è uno dei primi titoli italiani che prova a svincolarsi definitivamente dal neorealismo, in un clima sospeso dove realtà e fantasia coesistono alla perfezione. A una prima parte più incline alle convenzioni nostrane del tempo, Lattuada ne associa una seconda decisamente contrastante e bizzarra per la sua scelta di condurre la vicenda su binari più ironici e grotteschi. Una svolta coraggiosa che mette in risalto il talento del regista milanese nel saper coniugare due generi decisamente diversi, pur mantenendo fluida e coerente la linea narrativa della storia raccontata. Eccellenti l'ambientazione, con una nebbiosa Pavia mai più così “cinematografica”, e le interpretazioni (primo fra tutti il piccolo grande Renato Rascel, qui alla sua prima esperienza drammatica). Rimanendo sempre un passo dietro rispetto al patetismo e alla compassione, il film tocca corde profonde senza mai gridare il suo dolore in primo piano. Uno dei titoli più riusciti e significativi della carriera di Lattuada, autore mai valorizzato abbastanza. Presentato al Festival di Cannes, ottenne un buon successo sia di critica che di pubblico.