Dopo aver preso parte alla conquista di Malacca nel 1511, in Malesia, Fernando Magellano (Gael García Bernal) ritorna in Portogallo negli anni immediatamente successivi e si prepara a compiere la prima circumnavigazione del globo, partita nel 1519 e ultimata solo nel 1522, un anno dopo la sua morte.
Autore di importanza capitale nel panorama cinematografico d'essai contemporaneo, Lav Diaz si confronta ancora una volta con la Storia e con la tragedia dell'uomo costretto alla sofferenza, in un racconto che guarda al passato ma parla anche del presente. Nonostante in quest'opera non metta al centro il proprio paese natale, le Filippine, Diaz riesce a realizzare un affresco potente e sentito, dal fortissimo segno anticolonialista, ben lontano da qualsiasi forma di mitizzazione delle imprese storiche di cui parla. La condanna del potere e di qualsiasi forma di sopraffazione diventa un monito che si specchia nella contemporaneità, e la follia imperialista in nome di un disegno superiore suona come una presa di posizione universale destinata a perpetuarsi drammaticamente nel corso degli anni. Il Magellano di Gael García Bernal, umanista che crede nella giustizia, è una figura dolente alla continua scoperta di nuovi mondi e di se stesso, immerso in un'atmosfera decadente in cui la morte fa capolino ovunque. Alla prospettiva dei colonizzatori si affianca il punto di vista degli oppressi, vittime innocenti di una condizione disumana, i cui corpi trucidati, disseminati nella natura selvaggia, diventano immagini di rara potenza. Al suo primo film in lingua portoghese e spagnola, Lav Diaz abbandona l'abituale bianco e nero a favore di uno straordinario uso pittorico del colore, la cui eccellente resa è dovuta anche al lavoro di Albert Serra durante le riprese in Spagna. Nonostante momenti di altissimo livello (uno su tutti, la lunga sequenza a camera fissa della morte di Magellano), il film appare in alcuni passaggi incompiuto e poco coeso dal punto di vista della progressione narrativa, con "strappi" decisamente insoliti per il cinema del maestro filippino. In un film di così breve durata per gli standard di Lav Diaz, la consueta potenza conseguente alla dilatazione temporale delle inquadrature viene inevitabilmente mortificata. Non a caso, la versione di sole due ore e trentasei minuti presentata al Festival di Cannes 2025, frutto di pesanti tagli, non è stata approvata nel montaggio finale dal regista stesso, il quale aveva già in post-produzione la versione completa di nove ore.