Motel Destino

Motel Destino

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112

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In seguito a una rapina finita male, il ventunenne Heraldo (Iago Xavier), costretto a una fuga improvvisata, si rifugia in un isolato motel, meta di occasionali incontri sessuali, gestito da Dayana (Nataly Rocha) ed Elias (Fábio Assunção). Tra i tre non tarda a instaurarsi un rapporto sempre èpiù morboso.

A un anno di distanza dall'anonimo Firebrand, girato nel Regno Unito, Karim Aïnouz torna nella propria terra Natale, il Brasile (e in particolare lo stato del Ceará), con un affascinate progetto d'essai che spinge sul versante della ricerca stilistica per assumere la forma di un'estetizzante esperienza audiovisiva ai limiti del manierismo più esasperato nella sua ostentata ricerca di immagini lisergiche, con tanto di disclaimer iniziale a effetto. Cinema gestuale, fatto di narrazione frammentaria, salti di registro e incursioni nel territorio del cinema sperimentale e della videoarte, che ha nella torrida atmosfera di un luogo claustrofobico che sarebbe tanto piaciuto a Fassbinder il suo punto di forza. Il Motel Destino, opprimente gabbia dal nome emblematico che racchiude desideri repressi e pulsioni autodistruttive, è il non-luogo entro cui Aïnouz fa esplodere gli istinti primitivi di tre personaggi che vivono costantemente ai margini della realtà che li circonda. Il sesso, visto come impulso animalesco, è l'elemento centrale su cui l'autore brasiliano costruisce un thriller dalle sfumature hard boiled che guarda in maniera esplicita a Beau Travail (1999) nell'esaltare la carica erotica del corpo del protagonista anche in chiave queer e nel ragionare, per analogia o contrasto, sull'ambiguo esotismo di un paesaggio dalle campiture sature e nettamente definite. Il fascino del progetto, tra il naïve e l'intellettuale, è innegabile, ma lo spostamento progressivo del piacere dello spettatore sa di pretestuoso e alla fine dei giochi è chiara l'autoreferenzialità di un film di sola essenza formale. Girato in pellicola 16mm e Super 8, deve gran parte della sua forza espressiva alla straordinaria fotografia di Hélène Louvart, ma non è da trascurare nemmeno il contributo della colonna sonora di Benedikt Schiefer e Amin Bouhafa e del montaggio di Nelly Quettier, abituale collaboratrice di Claire Denis e Leos Carax. Presentato in concorso al Festival di Cannes.
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