My Friend Ivan Lapshin
Moy drug Ivan Lapshin
Durata
100
Formato
Regista
Provincia russa della metà degli anni '30, durante le Grandi Purghe di Stalin. Ivan Lapshin (Andrei Boltnev) è capo della polizia locale, un detective che sa il fatto suo. Intorno a lui un vortice disparato di personaggi, ciascuno dei quali rappresentativo in quanto essere umano autonomo inserito in un crudele contesto più grande, emblema di una precisa condizione esistenziale.
German restituisce con tutta la destabilizzante e potentissima maestria di cui è capace l'oscurità e l'abisso dell'epoca staliniana, dando corpo a una delle sue opere più grandiose. Devastante e per nulla accomodante, fu osteggiata dai sostenitori del potere sovietico: un baratro pregno di suggestioni noir, forte di un ragguardevole apparato estetico, che spazia dall'uso contrastato e violento della camera a mano a un espressionismo caratterizzato da una costante e voluta verosimiglianza. Spoglio e disadorno eppure esplosivo, traumatico, costantemente sbilanciato verso una personale e dolorosa forma di magnificenza: il totalitarismo sovietico, e la vessazione delle vite che subiscono la sua ingerenza mortifera, coesistono dentro le immagini di German creando un flusso audiovisivo che si erge costantemente a testimonianza diretta della Storia. Il risultato è visivamente impressionante, con ogni scena che si illumina di miracolosa bellezza. Lo straniamento di fondo e la vena dolente celata dietro le rievocazioni del film, stando a German stesso, dovrebbero ricordare la lezione dello scrittore Čechov: considerando i risultati, e operati i dovuti distinguo tra due arti differenti, si può pure dire che il confronto non è impari. Per Andrej Tarkovskij il miglior film russo della storia del cinema.
German restituisce con tutta la destabilizzante e potentissima maestria di cui è capace l'oscurità e l'abisso dell'epoca staliniana, dando corpo a una delle sue opere più grandiose. Devastante e per nulla accomodante, fu osteggiata dai sostenitori del potere sovietico: un baratro pregno di suggestioni noir, forte di un ragguardevole apparato estetico, che spazia dall'uso contrastato e violento della camera a mano a un espressionismo caratterizzato da una costante e voluta verosimiglianza. Spoglio e disadorno eppure esplosivo, traumatico, costantemente sbilanciato verso una personale e dolorosa forma di magnificenza: il totalitarismo sovietico, e la vessazione delle vite che subiscono la sua ingerenza mortifera, coesistono dentro le immagini di German creando un flusso audiovisivo che si erge costantemente a testimonianza diretta della Storia. Il risultato è visivamente impressionante, con ogni scena che si illumina di miracolosa bellezza. Lo straniamento di fondo e la vena dolente celata dietro le rievocazioni del film, stando a German stesso, dovrebbero ricordare la lezione dello scrittore Čechov: considerando i risultati, e operati i dovuti distinguo tra due arti differenti, si può pure dire che il confronto non è impari. Per Andrej Tarkovskij il miglior film russo della storia del cinema.