Touki Bouki
Touki Bouki
Durata
85
Formato
Regista
Mory (Magaye Niang) e Anta (Myriam Niang) sono una giovane coppia di spiantati che vive a Dakar. Il loro sogno è raggiungere la Francia e per realizzarlo iniziano a pianificare furti per raccogliere i soldi necessari.
Djibril Diop Mambéty rivoluziona il cinema africano abbandonando lo stile realista che finora lo caratterizzava. Questo esordio è vibrante in ogni aspetto: dal montaggio frenetico e non lineare, alla bella fotografia satura, passando per una regia che sceglie spesso inquadrature inconsuete per raccontare il viaggio dei suoi protagonisti. Fin dalle prime scene è però la violenza a fare da sfondo a tutto il film. La sconvolgente violenza da realismo documentaristico che vede vittime gli animali, a quella sottesa ma costante del colonialismo. In questo senso, la scena dal sapore cristologico in cui Mory viene legato a un’auto è solo un altro elemento di questa violenza continua, di cui i protagonisti stessi, con i loro misfatti, sono alla fine ennesimi perpetuatori. Fino a un apparentemente autolesionistico sacrificio finale, che è però la scelta di una vita alienata in Senegal, piuttosto che un’alienazione in terra ignota. La Francia, ancora una volta meta dei sogni dei giovani africani, è presente soltanto nei dialoghi di alcuni passeggeri bianchi della nave, che parlano della politica mondiale con annoiata saccenteria. Risulta quindi evidente un’incomunicabilità che, da generazionale (Anta con il suo look androgino che si scontra con la volontà della madre), si fa interculturale e nega un qualsivoglia cambiamento. Importante e potente.
Djibril Diop Mambéty rivoluziona il cinema africano abbandonando lo stile realista che finora lo caratterizzava. Questo esordio è vibrante in ogni aspetto: dal montaggio frenetico e non lineare, alla bella fotografia satura, passando per una regia che sceglie spesso inquadrature inconsuete per raccontare il viaggio dei suoi protagonisti. Fin dalle prime scene è però la violenza a fare da sfondo a tutto il film. La sconvolgente violenza da realismo documentaristico che vede vittime gli animali, a quella sottesa ma costante del colonialismo. In questo senso, la scena dal sapore cristologico in cui Mory viene legato a un’auto è solo un altro elemento di questa violenza continua, di cui i protagonisti stessi, con i loro misfatti, sono alla fine ennesimi perpetuatori. Fino a un apparentemente autolesionistico sacrificio finale, che è però la scelta di una vita alienata in Senegal, piuttosto che un’alienazione in terra ignota. La Francia, ancora una volta meta dei sogni dei giovani africani, è presente soltanto nei dialoghi di alcuni passeggeri bianchi della nave, che parlano della politica mondiale con annoiata saccenteria. Risulta quindi evidente un’incomunicabilità che, da generazionale (Anta con il suo look androgino che si scontra con la volontà della madre), si fa interculturale e nega un qualsivoglia cambiamento. Importante e potente.