La nave dei folli
Ship of Fools
Durata
149
Formato
Regista
1933. Su una nave tedesca che da Veracruz è diretta a Brera, si alternano le vicende private dei suoi passeggeri, capaci di raggiungere vette tra il comico e il grottesco. C'è il nano Glocken (Michael Dunn) che stringe amicizia con un commerciante ebreo (Heinz Rühmann), ma condivide la cabina con un nazista; il pittore David (George Segal), in viaggio con la fidanzata; Bill Tenny (Lee Marvin), un ex giocatore di baseball ossessionato dal suo passato che cerca di fare conquiste sessuali; il cagionevole dottor Wilhelm Schumann (Oskar Werner) che s'innamora perdutamente di una contessa (Simone Signoret).
Dopo aver documentato l'esito giudiziario della barbarie nazista (Vincitori e vinti, 1961), Stanley Kramer cerca di tracciarne le origini, quando tutto sembrava lecito e consentito. Lo fa attraverso l'adattamento del celebre romanzo di Katherine Anne Porter, che riuniva su una nave le più diverse tipologie di personaggi, garantendo loro una funzione esplicativa della propria generazione. Nonostante manchi una storia comune che leghi con un filo ben preciso tutta la narrazione, è innegabile la capacità del regista di gestire una storia corale unendo la componente farsesca (presa in prestito dal precedente film Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo, 1963) con quella drammatica, che lascia presagire l'imminente tragedia tedesca. Il risultato è un affresco sulla condizione umana, perennemente in bilico tra amore e odio, secondo i più consolidati canoni del melodramma: peccato, però, che la regia sia un po' ingessata e la durata a dir poco spropositata. Interessante e curato, ma si poteva fare di meglio. Due premi Oscar: fotografia (Ernest Laszlo) e scenografia (Robert Clatworthy e Joseph Kish). Ultimo film di Vivien Leigh.
Dopo aver documentato l'esito giudiziario della barbarie nazista (Vincitori e vinti, 1961), Stanley Kramer cerca di tracciarne le origini, quando tutto sembrava lecito e consentito. Lo fa attraverso l'adattamento del celebre romanzo di Katherine Anne Porter, che riuniva su una nave le più diverse tipologie di personaggi, garantendo loro una funzione esplicativa della propria generazione. Nonostante manchi una storia comune che leghi con un filo ben preciso tutta la narrazione, è innegabile la capacità del regista di gestire una storia corale unendo la componente farsesca (presa in prestito dal precedente film Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo, 1963) con quella drammatica, che lascia presagire l'imminente tragedia tedesca. Il risultato è un affresco sulla condizione umana, perennemente in bilico tra amore e odio, secondo i più consolidati canoni del melodramma: peccato, però, che la regia sia un po' ingessata e la durata a dir poco spropositata. Interessante e curato, ma si poteva fare di meglio. Due premi Oscar: fotografia (Ernest Laszlo) e scenografia (Robert Clatworthy e Joseph Kish). Ultimo film di Vivien Leigh.