Parigi, 1959. Dopo che tutti i suoi sodali amici e colleghi dei Cahiers du Cinéma sono passati dalla critica alla regia, è tempo anche per Jean-Luc Godard (Guillaume Marbeck) di realizzare il suo primo lungometraggio. Si chiamerà Fino all’ultimo respiro e farà la storia del cinema. 

Nello stesso anno in cui ha realizzato un atipico biopic su Lorenz Hart in Blue Moon, il regista americano Richard Linklater prosegue a ragionare sull’atto creativo, mettendo in scena il processo – artistico e produttivo – che ha portato alla nascita di uno dei capolavori assoluti della storia della settima arte e tra i massimi simboli dell’avvento del cinema moderno. È però interessante partire proprio dal titolo poiché, seppur il film si concentri sulla lavorazione di Fino all’ultimo respiro, quello che conta è proprio lo spirito della nouvelle vague, che Linklater racconta con grande rispetto, sincerità e… forse anche con un pizzico di invidia. Viene infatti voglia di tornare a quei momenti, così liberi e creativi, mentre si guarda questo lungometraggio, capace di incuriosire chi non conosce la storia di quel movimento forse irripetibile e di risultare allo stesso tempo una vera e propria goduria per ogni cinefilo che si rispetti. Nonostante la profondità di quanto venga raccontato, quello che colpisce è l’assoluta levità con cui il regista americano ha scelto di trattare questo processo, non come un qualcosa di mistico ma come un procedimento “semplice”, parafrasando un po’ una frase che dice il personaggio di Roberto Rossellini nella pellicola. Più volte in Nouvelle Vague si parla di come il cinema debba essere divertimento e non sofferenza, un atto creativo e costruttivo anche all’interno di una rivoluzione a tutti gli effetti, ed è con questo spirito che Linklater si è approcciato alla materia di partenza, dando vita a un omaggio scintillante a quel momento storico e, naturalmente, alla figura di Jean-Luc Godard. Il regista, nel bene e nel male, come figura attorno a cui ruota l’intera produzione, capace di seguire l’ispirazione del momento, ma anche di fidarsi di chi ha intorno, tra collaboratori e attori. Impressionanti, rimanendo sull’argomento, le scelte di casting del film, vista l’incredibile somiglianza tra le attrici e gli attori scelti da Linklater e i personaggi che sono stati chiamati a interpretare. In un omaggio così tanto raffinato e cinefilo si potevano e si dovevano probabilmente evitare le didascalie finali, ma rimane un dettaglio all’interno di un prodotto che conferma l’incredibile capacità di scrittura del regista americano, abilissimo con la sua penna nel portare lo spettatore direttamente all’interno del processo creativo messo in scena. Una lettera d’amore al cinema, scritta da un regista sempre più maturo e indispensabile. Presentato in concorso al Festival di Cannes 2025.

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