Marocco. L’italiana Nina (Eleonora Giorgi), ormai stabilita nel paese insieme alla famiglia, manipola una relazione di possessione nei confronti del patrigno (Marcello Mastroianni), in carcere con l’accusa di aver ucciso la madre della ragazza. Tanti sono i segreti che nascondono i due: un giovane americano (Tom Berenger) proverà a scoprirli.



Morboso dramma dalla confezione di prestigio – musiche di Pino Donaggio, scene di Dante Ferretti, fotografia di Luciano Tovoli – che però la regista Liliana Cavani, da sempre incapace di prescindere da una frammentarietà nello stile che la rende un’autrice costantemente “incompleta”, non riesce a tratteggiare con adeguata intensità. Ogni ambiguità – funzionale nelle idee, va sottolineato – resta limitata alle intenzioni e a una patina laccata e superflua. La morbosità resta accennata, le dinamiche sono vaghe: difetti che si ascrivono in maniera radicata al cinema della Cavani, artigiana di talento ma mai Maestra vera. Un’occasione totalmente sprecata.
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