Da piccolo, Tako (Dani Erdély) passa le sue giornate esaltando e ingigantendo la figura del padre (Miklós Gábor), un medico morto durante la Seconda guerra mondiale. Una volta adulto (András Bálint) capisce che non può più vivere di tali fantasie e decide di liberarsi del mito paterno.

Al suo secondo lungometraggio, l'ungherese István Szabó dimostra già il suo grande talento alternando con cura il passato e il presente di un uomo come tanti, costretto a crearsi delle illusioni per poter sopravvivere. La presa di coscienza dell'età adulta è straziante, connotata da forti simbolismi politici (la rivolta del 1956) e capace di far riflettere ancora oggi: quello del protagonista è un lento percorso all'interno di se stesso, del suo passato e di quello della sua nazione, accompagnato da una messinscena delicata e capace di scavare a fondo nella sua psiche tormentata. Splendido il finale, ma tutta la pellicola è contrassegnata da sequenze degne di nota. Da riscoprire.
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