I racconti della luna pallida d'agosto

Ugetsu monogatari

Anno

Paese

Generi

Durata

96

Formato

Regista

XVI secolo. Durante le guerre imperiali, due abitanti di un piccolo villaggio cercano di dare una svolta alla propria esistenza: Genjur (Masayuki Mori) è un modesto vasaio che vuole sfruttare le battaglie per arricchirsi; Tobei (Sakae Ozawa) un contadino disposto a tutto pur di diventare un samurai. Le loro ambizioni li porteranno alla rovina.



Ispirato a due racconti di Ueda Akinari (1734-1809), a cui si aggiunge uno spunto preso dalla Décoré di Maupassant, I racconti della luna pallida d'agosto è l'opera più importante firmata da Kenji Mizoguchi e una delle vette assolute della settima arte. Seppur ricco di stimoli metafisici e fantastici, è un film profondamente umano, che disegna con straordinaria sensibilità i rapporti tra i diversi personaggi. Genjur è ottenebrato dalla speranza di guadagno, mentre sua moglie pone sempre in primo piano l'integrità familiare rispetto al possibile successo economico: l'avidità dell'uomo prende la forma di un fascinoso fantasma dalle fattezze di una principessa, simbolo di una felicità solo apparente che non potrà mai raggiungere. Tobei è sposato con O-Hama, donna che finirà per diventare una prostituta, mentre il marito cavalca i suoi illusori (e menzogneri) sogni di gloria. Il messaggio è cristallino (accontentarsi di quello che si ha è la vera chiave per essere felici) e Mizoguchi lo porta avanti con magistrali tocchi lirici, pregni di una poeticità che sa anche essere angosciante e spettrale. Se splendidi sono i movimenti della cinepresa, uniti a mirabili scelte visive e sonore, a colpire è soprattutto un'atmosfera perennemente fantasmatica, suggestiva e minacciosa al tempo stesso. Mizoguchi raggiunge il sublime, le sequenze impressionanti non si contano (da brividi il finale e il brusco risveglio di Genjur di fronte a un mucchio di rovine) e gli attori sono diretti alla perfezione. Un film imprescindibile, per qualsiasi cinefilo che voglia dirsi tale. Vincitore di un Leone d'argento alla Mostra del Cinema di Venezia del 1953, in un anno in cui il Leone d'oro non venne assegnato.
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