Cinque donne intorno a Utamaro
Utamaro o meguru gonin no onna
Durata
106
Formato
Regista
Utamaro (Minosuke BandÅ), artista di grande talento, è esperto nel ritrarre figure femminili: i suoi modelli sono le geishe del quartiere di Yoshiwara.
È un'opera decisamente anomala nella filmografia di Kenji Mizoguchi, sostanzialmente per due motivi: il primo è che non si tratta di una pellicola in costume (a causa della censura americana dell'epoca, che impediva evocazioni nostalgiche del passato); il secondo, e ben più interessante, è che si intrecciano diverse storie. Il centro principale della narrazione è Utamaro, ma il regista segue parallelamente altri personaggi – soprattutto femminili – approfondendo le loro esistenze, le paure, le speranze. Sarà così anche ne La strada della vergogna (1956), ma fino a questo momento l'autore nipponico non aveva mai realizzato un lungometraggio tanto corale (fatta eccezione, ma per motivi diversi, con La vendetta dei 47 Ronin del 1941). Le svolte drammaturgiche sono diverse, così come i passaggi ellittici: Mizoguchi riesce a gestire al meglio una sceneggiatura non semplice, dandole ottimo equilibrio ed evitando ostacoli lungo l'intera durata. A suo modo, è anche un intenso elogio dell'arte, capace di rappresentare al meglio quella bellezza che, quando la si trova di fronte senza filtri, non è sempre facile riconoscere.
È un'opera decisamente anomala nella filmografia di Kenji Mizoguchi, sostanzialmente per due motivi: il primo è che non si tratta di una pellicola in costume (a causa della censura americana dell'epoca, che impediva evocazioni nostalgiche del passato); il secondo, e ben più interessante, è che si intrecciano diverse storie. Il centro principale della narrazione è Utamaro, ma il regista segue parallelamente altri personaggi – soprattutto femminili – approfondendo le loro esistenze, le paure, le speranze. Sarà così anche ne La strada della vergogna (1956), ma fino a questo momento l'autore nipponico non aveva mai realizzato un lungometraggio tanto corale (fatta eccezione, ma per motivi diversi, con La vendetta dei 47 Ronin del 1941). Le svolte drammaturgiche sono diverse, così come i passaggi ellittici: Mizoguchi riesce a gestire al meglio una sceneggiatura non semplice, dandole ottimo equilibrio ed evitando ostacoli lungo l'intera durata. A suo modo, è anche un intenso elogio dell'arte, capace di rappresentare al meglio quella bellezza che, quando la si trova di fronte senza filtri, non è sempre facile riconoscere.