Un ex impresario musicale di successo caduto in disgrazia (Bill Murray) si ritrova solo e al verde a Kabul, dopo aver accompagnato la sua unica cliente rimasta ((Zooey Deschanel) a cantare per le truppe americane. In città conosce una ragazzina (Leem Lubany) dal talento canoro straordinario e decide di aiutarla a sfondare nel reality Afghan Star.

Con buona probabilità il punto più basso della carriera di Barry Levinson (Rain Man, 1988). Eppure le premesse per costruire una commedia almeno accettabile c'erano tutte: lo spaesato Bill Murray nei panni di un improbabile impresario rock gettato in un mondo diametralmente opposto alla California da cui proviene sulla carta sembrava funzionare. Così non è però nella realtà del film, dove si mescolano a casaccio elementi tra loro estranei, come il discorso pacifista, il messaggio contro gli abusi sulle donne, lo shock culturale, il paradosso di portare il rock a Kabul. L'accozzaglia di tematiche, frettolosamente e pretestuosamente messe insieme da una sceneggiatura approssimativa e debole, non risparmia neppure il registro retorico, decisamente calcato nel finale, e alcuni grossi buchi narrativi. Murray è ormai l'apatica caricatura di se stesso e ripropone, sempre più tristemente, l'ennesimo personaggio stralunato con l'espressione velatamente malinconica da cui non riesce proprio a svincolarsi. A nulla servono le partecipazioni di Zooey Deschanel, Kate Hudson e Bruce Willis.
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