1918, ai tempi della guerra civile russa. Mosca è occupata dai bolscevichi ma, nel sud del paese, una troupe cinematografica prosegue a girare come se niente fosse un film intitolato Schiava d'amore con protagonista una grande diva dell'epoca (Elena Solovej).

Un anticonvenzionale inno al cinema. Nikita Mikhalkov (supportato dal fratello Andrej KonÄalovskij che ha contribuito alla sceneggiatura) mescola dramma storico e finzione cinematografica, rivoluzione e vita sul set, toni leggeri e malinconici, con una spruzzata di sentimentalismo. Al suo secondo lungometraggio, il regista moscovita non inventa niente di particolare (ogni suggestione è derivativa e poco originale) ma riesce a firmare una pellicola secca e coinvolgente, curata nella confezione e dotata di almeno una sequenze notevolissima: il finale. Prima di arrivarci non manca qualche breve passaggio macchinoso, ma la forte conclusione riesce a farli dimenticare in fretta.
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