L'esistenza monotona dell'impiegato Evzen (Václav Helsus) viene sconvolta da un'intensa attività onirica. Attraverso un rituale speciale, l'uomo può tornare continuamente alla sua seconda vita, dov'è innamorato di una giovane e bellissima donna. Un giorno però sua moglie trova il modo di entrare all'interno del suo sogno.

Il cinema di Jan Svankmajer è sempre stato fortemente politico. Fin dalle prime battute si comprende come Surviving Life sia l'ennesimo atto di resistenza di un regista che ha sempre strutturato le sue pellicole donandogli grande profondità: il sogno diviene l'isola da difendere, l'unico luogo sulla faccia della terra che non può essere capitalizzato. A settantasei anni, Svankmajer si fa beffe della società, del denaro, del matrimonio e perfino della psicoanalisi: un turbinio di suggestive idee visive tende a scontrarsi con una narrazione macchinosa, che limita la portata di un lungometraggio che poteva ambire a risultati migliori. I fan dell'autore ne apprezzeranno lo spirito anarchico e surreale, tutti gli altri potrebbero un po' annoiarsi.
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