La terra degli uomini rossi – Birdwatchers
Durata
108
Formato
Regista
Mato Grosso du Sol, Brasile. I fazendeiros, per fare spazio alle coltivazioni transgeniche, hanno cacciato gli indios dalle terre di cui erano legittimi abitanti. Costretti a vivere nelle riserve in condizioni di estrema povertà, questi ultimi sono afflitti da un'esistenza priva di speranze che porta molti giovani a suicidarsi. Un coraggioso leader (Ambrósio Vilhava) e uno sciamano (Ademilson Concianza Verga) guideranno una protesta di un gruppo di Guarani-Kaiowa, decisi ad accamparsi ai confini di una proprietà per reclamare la restituzione delle terre.
Dopo aver riflettuto sugli orrori perpetrati dalla dittatura argentina, in Garage Olimpo (1999) e Figli/Hijos (2001), Marco Bechis si sposta in Brasile puntando il dito contro un problema strettamente attuale. Il dramma degli indios, emarginati e abbandonati da un governo assente, è trattato da Bechis con discreto rigore, senza eccedere mai in momenti folkloristici o meramente ricattatori. Il messaggio è importante, e si sente il coinvolgimento emotivo di un regista a cui tali problemi stanno davvero a cuore, ma la resa estetica funziona poco, afflitta da un'impostazione formale da documentario malcelato, che non sa che farsene della finzione e sembra preferire la documentazione dal vero piuttosto che la vicenda narrata, che di fatto appare imbalsamata e poco credibile. Durante la narrazione si alternano, così, momenti riusciti (nella prima parte soprattutto) ad altri ben poco necessari, approssimativi nella scrittura e tutt'altro che toccanti (si sente una certa ridondanza con l'approssimarsi della conclusione). Anche la direzione degli attori, a ben guardare, appare macchinosa e non convince del tutto. Presentato in concorso alla Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia 2008.
Dopo aver riflettuto sugli orrori perpetrati dalla dittatura argentina, in Garage Olimpo (1999) e Figli/Hijos (2001), Marco Bechis si sposta in Brasile puntando il dito contro un problema strettamente attuale. Il dramma degli indios, emarginati e abbandonati da un governo assente, è trattato da Bechis con discreto rigore, senza eccedere mai in momenti folkloristici o meramente ricattatori. Il messaggio è importante, e si sente il coinvolgimento emotivo di un regista a cui tali problemi stanno davvero a cuore, ma la resa estetica funziona poco, afflitta da un'impostazione formale da documentario malcelato, che non sa che farsene della finzione e sembra preferire la documentazione dal vero piuttosto che la vicenda narrata, che di fatto appare imbalsamata e poco credibile. Durante la narrazione si alternano, così, momenti riusciti (nella prima parte soprattutto) ad altri ben poco necessari, approssimativi nella scrittura e tutt'altro che toccanti (si sente una certa ridondanza con l'approssimarsi della conclusione). Anche la direzione degli attori, a ben guardare, appare macchinosa e non convince del tutto. Presentato in concorso alla Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia 2008.