David Burton (Richard Chamberlain), avvocato di Sidney, accetta la difesa di alcuni aborigeni, accusati dell'omicidio di un parroco. Mentre il processo va avanti, vari eventi fuori dal comune iniziano a presentarsi e Burton, addentrandosi nella cultura indigena, inizia a sospettare il pericolo della fine del mondo.

Nel terzo lungometraggio dell'australiano Weir, la dimensione fantascientifica e catastrofica assume una connotazione complessa, alludendo a una riflessione sul confronto/scontro tra civiltà diverse che mescola filosofia ed etnologia. Il rischio dell'autodistruzione della civiltà bianca contemporanea è raccontato come il riflesso diretto di un'umanità che ha dimenticato le proprie radici (rappresentate dalla cultura indigena). Suggestivi gli effetti speciali, anche se il regista sembra più interessato a costruire, soprattutto, un'atmosfera di pericolo imminente piuttosto che fornire risposte certe (stessa scelta utilizzata nel precedente Picnic ad Hanging Rock del 1975). Alcuni aspetti della pellicola appaiono ormai un po' datati e non sempre il ritmo è all'altezza del mistero che vuole suggerire la storia, ma buona parte del suo fascino è rimasto intatto e non mancano gli spunti di riflessione. Epilogo di grande forza narrativa e visiva, in cui gli elementi della natura (l'acqua in particolare), lungi dall'essere semplici orpelli spettacolari, diventano protagonisti della vicenda tanto quanto i personaggi coinvolti.
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