Le ultime cose
Durata
85
Formato
Regista
Tre storie si sfiorano e si intrecciano, tutte ambientate attorno al Banco dei Pegni di Torino. Stefano (Fabrizio Falco), giovane perito appena assunto, deve adeguarsi al cinismo dei suoi capi. La trans Sandra (Christina Rosamilia) è costretta a impegnare una pelliccia, simbolo di un grande amore finito. L’anziano Michele (Alfonso Santagata) viene coinvolto nei traffici del mercato nero.
Presentato alla Settimana Internazionale della Critica della 73esima Mostra di Venezia, Le ultime cose è il primo lungometraggio di finzione di Irene Dionisio, cineasta trentenne con una gavetta da documentarista e una poetica che, anche nella fiction, vuole continuare a indagare la realtà. Ponendosi sulla scia di un cinema minimal e naturalista (a budget ridottissimo), la Dionisio dipinge un affresco della piccola Italia stritolata dalla crisi economica e dal debito, costringendola letteralmente tra gli spazi squallidi di un luogo-simbolo della disuguaglianza (il monte di pietà, topos della meschinità umana almeno dai tempi del classico L’uomo del banco dei pegni di Sydney Lumet, 1964). Un ritratto che, nonostante lo sguardo dardenniano e alcuni buoni spunti, non graffia sino in fondo, bloccato da snodi narrativi fragili e intrappolato in acerbità e incertezze da opera prima. Interessante il cast, tutto formato da volti poco conosciuti o esordienti: al fianco dei tre protagonisti appare anche il Salvatore Cantalupo di Gomorra (Matteo Garrone, 2008).
Presentato alla Settimana Internazionale della Critica della 73esima Mostra di Venezia, Le ultime cose è il primo lungometraggio di finzione di Irene Dionisio, cineasta trentenne con una gavetta da documentarista e una poetica che, anche nella fiction, vuole continuare a indagare la realtà. Ponendosi sulla scia di un cinema minimal e naturalista (a budget ridottissimo), la Dionisio dipinge un affresco della piccola Italia stritolata dalla crisi economica e dal debito, costringendola letteralmente tra gli spazi squallidi di un luogo-simbolo della disuguaglianza (il monte di pietà, topos della meschinità umana almeno dai tempi del classico L’uomo del banco dei pegni di Sydney Lumet, 1964). Un ritratto che, nonostante lo sguardo dardenniano e alcuni buoni spunti, non graffia sino in fondo, bloccato da snodi narrativi fragili e intrappolato in acerbità e incertezze da opera prima. Interessante il cast, tutto formato da volti poco conosciuti o esordienti: al fianco dei tre protagonisti appare anche il Salvatore Cantalupo di Gomorra (Matteo Garrone, 2008).